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SINODO 4 - Niente modello tedesco In Italia, tutti i Sinodi vengono al pettine

Continuiamo a porre attenzione al Sinodo. In questo post una riflessione critica

In Germania, i vescovi affrontano argomenti come quello dei sacerdoti sposati, del sacerdozio alle donne, del processo di democratizzazione ecclesiale, della morale sessuale e omosessuale. Ma qui da noi, dove la Chiesa resta sempre gerarchica, docente e clericale, invece niente. Perché sono temi «molto particolari» (il cardinal Bassetti dixit) 


di Francesco Lepore 

in “www.linkiesta.it” del 31 maggio 2021 


Grandi proclami dal «noi ecclesiale» al processo dal basso, secondo quanto auspicato dallo stesso Papa Francesco. Ma in realtà il Sinodo della Chiesa italiana o, volendo attenersi al dettato della “Dominus Iesus”, della Chiesa di Dio che è in Italia, si prospetta come tutt’altro. Come una realtà cioè preconfezionata e calata dall’alto, di cui sono riprova inequivocabile le parole pronunciate dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, nel corso della conferenza stampa al termine della 74° Assemblea generale della Cei (27 maggio). 

Non si parlerà infatti di sacerdoti sposati, di sacerdozio alle donne, di morale sessuale e, nello specifico, omosessuale, di processo di democratizzazione della Chiesa. Temi, questi, tutti al centro del Sinodo biennale o Cammino sinodale tedesco. Ma che, secondo il porporato, sono argomenti «molto particolari» e non tra «quelli fondamentali che in questo momento attanagliano la Chiesa e l’umanità». Per Bassetti, infatti, «i problemi di fondo della nostra gente sono ben altri: sono la solitudine, sono l’educazione dei figlioli che non si sa più da che parte rifarsi, quindi la Chiesa deve essere una madre che educa, sono i problemi di chi non arriva in fondo al mese perché non ha il lavoro, sono i problemi di una immaturità affettiva che portano le famiglie a disgregarsi. Noi affronteremo tutti questi problemi». 

Ma a lasciare sbigottiti è la motivazione data dall’eminentissimo, che ha detto: «Il nostro non è un Sinodo, è un Cammino sinodale», perché in caso contrario «dovrebbe essere convocato dal Papa». Ora, premesso che i due termini sono sinonimici tanto è vero che la denominazione esatta di quello tedesco è Cammino sinodale, al pontefice spetta la convocazione delle assemblee sinodali della Chiesa universale non già di quelle locali. Per il caso in questione, potrebbe al massimo farlo come vescovo di Roma e primate d’Italia. 

Ora il Sinodo o Cammino sinodale italiano è stato avviato dai vescovi riuniti nella recente Assemblea generale della Cei così come quello tedesco è stato indetto dalla relativa Conferenza episcopale. Non senza una differenza siderale, che la dice lunga dell’impostazione di quello italiano: il progetto dell’itinerario sinodale tedesco è stato messo sinergicamente in moto dalla Conferenza episcopale tedesca (DBK) e dal Zentralkomitee der deutschen Katholiken (ZDK), che è il corpo rappresentativo ufficiale dei laici in seno alla Chiesa cattolica in Germania. Struttura che, è quasi pleonastico rilevarlo, possiamo solo sognarci nel Belpaese, dove la Chiesa in realtà resta sempre quella gerarchica, docente, clericale. E dunque, parole di Bassetti, «una mamma che ti tiene per mano» e che la gente «deve sentire» come tale alla pari del Sinodo, pardon Cammino sinodale, che «vuole essere una carezza materna della Chiesa a gente che in questo momento è in estrema difficoltà». 

Di una «Chiesa che molte volte è più matrigna che madre», come ebbe a dire al Vaticano II un presule non certamente progressista come Raffaele Calabria, e che perciò dovrebbe interrogarsi su sé stessa e sul rinnovamento da attuare, come sta facendo la Chiesa cattolica in Germania, neppure l’ombra. Riprova, invero, che anche sbandierate ricorrenze ecumeniche come il recente 500° anniversario della scomunica di Lutero (3 gennaio 1521), non vanno al di là di mere occasioni celebrative insegnando poco o nulla: una meditazione sapienziale, ad esempio, della celebre e connessa ammissione di colpa di Adriano VI (3 gennaio 1523) sulla «malattia trapiantata dal capo nelle membra, dai Papi nei prelati» e sul «risanamento» che deve partire dall’alto avrebbe forse avuto ben altre gravide conseguenze sul Cammino sinodale italiano. 

Per Paola Lazzarini, presidente di Donne per la Chiesa, «i vescovi italiani sono prontissimi ad affrontare problemi sociali legati al lavoro, all’educazione, alla solitudine, ma impenetrabili quando si tratta di mettere a tema la vita stessa della Chiesa: il suo sistema di governo, la discriminazione delle donne, il celibato ecclesiastico. Si sminuisce contemporaneamente il Sinodo tedesco, che invece di questo tratta, e anche i laici italiani considerati incapaci di porre domande difficili. Rifiutarsi di parlare dell’esclusione delle donne non solo dai ministeri ordinati, ma anche dalla leadership è una mossa che squalifica la nostra assemblea dei vescovi, in un tempo nel quale le donne esprimono con forza creativa e vitale che la loro pazienza è al termine». 

Secondo la sociologa e femminista «c’è poi una questione che non può neppure essere citata: lo scandalo degli abusi sui minori e sulle donne da parte del clero italiano. Sembra che sia tutto finito, con qualche commissione e imbarazzanti parole di scuse. Non è così: questo Sinodo deve ascoltare le vittime, le loro famiglie e anche tutte le madri e i padri che oggi hanno paura a mandare i loro figli in parrocchia. Non hanno voglia di sentire queste cose? È un segno chiaro che invece hanno proprio bisogno di sentirle!». Ecco perché, conclude Lazzarini, «se questo Sinodo non permetterà davvero al popolo di Dio in Italia di esprimersi su ciò che gli sta a cuore sarà uno spreco di tempo e anche – bisogna dirlo – di denaro, in un momento drammatico per tante famiglie. Da laica, da donna impegnata, dico che se vogliono ascoltarci lo facciano seriamente e fino in fondo. Altrimenti non ci facciano perdere tempo». 

Questioni tutte che, insieme con quelle – per citarne alcune – della visione della sessualità, della presenza delle persone Lgbt+, della gestione dei beni ecclesiastici, della presenza delle comunità immigrate, del rapporto con la politica, della laicità dello Stato e dell’impegno per la pace, la giustizia, l’integrità del creato, sono state portate all’attenzione dei 213 vescovi riuniti nella 74° Assemblea generale della Cei in una lettera firmata proprio da Donne per la Chiesa e da altre 14 organizzazioni: tra queste Adista, Cammini di speranza, Coordinamento teologhe italiane, Pax Christi. Al riguardo è indicativo sottolineare che sono stati pochissimi i presuli a rispondere come, ad esempio, il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, e Domenico Pompili, vescovo di Rieti. Di particolare rilievo per la lunghezza e i contenuti il messaggio del teologo e vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino. 

Hai voglia, con buona pace del cardinale Bassetti, a essere convinto «che se uno non ha coraggio, può essere che gli venga se è mosso da un desiderio più grande delle proprie paure. L’importante è avere sogni e desideri più grandi delle paure». Perché alla fine, e i fatti lo dimostrano, ha sempre ragione il buon don Abbondio, pur citato dallo stesso porporato alla presenza del Papa: «Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare». 

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