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No al proselitismo, si all'evangelizzazione


di Severino Dianich in “Vita Pastorale” del giugno 2021

Quanto di frequente oggi si parla di evangelizzazione, tanto poco se ne elaborano gli strumenti, le metodiche, la gerarchia delle cose da dire, il linguaggio adatto all'uomo d'oggi. Spesso, tentando qualche proposta per il discorso di fede da fare ai non credenti o a persone di altra religione, capita di sentirsi rispondere: «Ma sono cose che vanno dette ai nostri fedeli, altro che cercare gli altri!». Dal dovere di evangelizzare ci si ripiega su quello della catechesi e della cura pastorale, quasi che si abbia timore di dover affrontare questo arduo compito, che pur costituisce il cuore di tutta la missione della Chiesa.

Le ragioni di questo atteggiamento non sono difficili da individuare. Se per "evangelizzazione" intendiamo la proposta della fede cristiana a chi non la conosce o, pur conoscendola, non la condivide, bisogna riconoscere che in Europa è da un millennio che non si evangelizza. Con l'Islam lontano si è combattuto manu armata. Con il raro maomettano presente, lo si è considerato, come lo riteneva il Damasceno, un eretico che ha deformato la rivelazione cristiana. Il drammatico rapporto con l'ebraismo è ben noto. L'ateo, in una societas christiana, era impensabile. Ai grandi popoli degli altri continenti abbiamo inviato i missionari. Ma per loro si sono dovuti creare seminari propri, perché quelli ordinari non preparavano all'evangelizzazione. Loro, sì, avrebbero dovuto evangelizzare. Alle nostre Chiese incombeva il compito di sostenere, anche finanziariamente, la loro encomiabile opera.

Quando si è sviluppata la cultura illuminista, di cui quella odierna è figlia, nella Chiesa occidentale, si è accesa una formidabile controffensiva di carattere apologetico, di cui godiamo lasciti preziosi di approfondimento di molti aspetti della fede, ma che ha favorito un clima controversistico, per nulla propizio all'evangelizzazione. La svolta epocale della decolonizzazione ha, poi, contribuito a un risveglio critico della coscienza cristiana nei confronti delle non rare compromissioni dell'opera missionaria con l'iniqua conquista di territori e la sottomissione di popoli.

In quanto all'Europa, non pochi intendono l'evangelizzazione come fosse un'opera di ricristianizzazione della nostra cultura e così provocano il sospetto che la Chiesa aspiri a restaurare il suo vecchio potere sulla società laicizzata e oggi governata democraticamente. La vicenda storica e il dominante individualismo, tutto sembra congiurare a dissuadere i cristiani dalla comunicazione ad altri della loro fede. Chi ci dà il diritto di volere che tutti condividano la nostra fede? Pretendere che altri condividano la mia fede non è una sopraffazione nei confronti delle persone?

Bisogna riconoscere che può esserlo. L'evangelizzazione, infatti, ha in comune con il proselitismo il desiderio che l'altro accolga la proposta di condividere la fede in Cristo. Ma la vera evangelizzazione rovescia l'intento dal quale è mosso il proselitismo. Proselitismo è diffondere un'idea per potenziare il proprio gruppo e sé stessi. È ovvio che lo faccia un partito politico in campagna elettorale, ma alla Chiesa non è permesso di farlo. Insorgerebbe l'apostolo Paolo, esibendo la sua testimonianza: «Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore» (2Cor 4,5). O l'evangelizzazione è offerta di un dono che si è ricevuto, nella totale gratuità del dono, o evangelizzazione non è.

Per evangelizzare è necessario lasciare la Chiesa in secondo piano, perché lo spazio del discorso sia occupato totalmente da Gesù: solus Christus. Solo Gesù è il salvatore, solo Gesù è il Signore, solo il Figlio di Dio è degno che si creda in lui, cioè che si dedichi a lui la propria vita. Il Catechismo del concilio di Trento, commentando il Simbolo, osserva che nel Credo si professa «di credere "la santa Chiesa", e non "nella santa Chiesa"; questo per distinguere, anche con la diversità della frase, Dio creatore dell'universo, dalle cose create».
L'evangelizzazione è pura solo se ne è pura l'intenzione, pura da qualsiasi retropensiero che miri a una soddisfazione personale o a un interesse della comunità. L'eventuale, ma non raro, rifiuto dell'interlocutore farà dispiacere, ma qualora se ne ricavasse un minore affetto e un successivo disinteresse nei suoi riguardi, questo sarebbe il segno inequivocabile che non ci aveva motivato la gratuità del dono: avevamo fatto proselitismo, non evangelizzazione.
Gli uffici di statistica del Vaticano calcolano se e di quanto cresce il numero dei cattolici. È un'utile ricerca sociologica, ma nulla ha a che fare con la fede. Gesù ha voluto la Chiesa perché serva il mondo, non perché si faccia servire. Solo l'amore per l'umanità giustifica la grande opera di diffusione della fede nel mondo. Francesco lo sosteneva con forza nell'Evangelii gaudium: «Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma "per attrazione"» (14).

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