La festa odierna, che ha al suo cuore la memoria eucaristica, ci sollecita a considerare il senso di una parola e di una realtà che spesso non è presente nel nostro vocabolario e nella nostra sensibilità, ma che svolge un ruolo decisivo nel vissuto dei cristiani. Questa parola è alleanza. Il vangelo mostra Gesù che, durante l’ultima cena, compie l’alleanza riprendendo ma anche modificando l’espressione usata da Mosè al momento della stipulazione dell’alleanza sinaitica. Mosè aveva detto: “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole” (Es 24,8). Il sangue delle vittime animali che Mosè sparse in parte sull’altare e in parte sul popolo simbolizzava l’unica vita che doveva ormai scorrere tra i due contraenti l’alleanza: Dio e il popolo. Gesù dice: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per le moltitudini” (Mc 14,24). Dove il sangue, che nell’antropologia biblica significa la vita, non è più il sangue di animali, ma è simbolo della vita di Gesù. Questa, ormai, è la vita che deve scorrere nel popolo dei credenti in Cristo, di coloro che vogliono entrare nell’alleanza, alleanza che non è tanto rituale, quanto relazionale. Se il sangue di Gesù è il “sangue dell’alleanza”, questo significa che in lui si dà la piena obbedienza a tutte le esigenze dell’alleanza e quindi il compimento di tutti i doni e di tutte le promesse di Dio e non soltanto per Israele, ma per tutte le genti (“versato per molti”: Mc 14,24). Il termine greco polloì, “molti”, per l’espressione semitica che vi sottostà, rinvia a una moltitudine inclusiva di tutti, senza distinzioni e senza discriminazioni. Non si tratta di “molti” nel senso di un gran numero, ma di molti nel senso delle moltitudini, di tutti. Il gesto di Gesù ha una portata universale. Tocchiamo in questo gesto uno dei tanti paradossi della fede cristiana: attraverso la particolarità della persona di Gesù, anzi del suo darsi, del suo andare incontro alla morte, del suo vedersi escluso dalla comunità religiosa di appartenenza con la morte infamante di croce, si realizza la dimensione universale della salvezza. Quella dimensione di cui fa memoria l’eucaristia, che nel nostro testo è colta nella sua dimensione di alleanza. L’atto di mangiare il pane e di bere il vino eucaristici, che significa la partecipazione alla vita di Gesù, consente di entrare nell’alleanza nuova stabilita da Gesù stesso. Un’alleanza in cui il credente deve entrare sempre di nuovo perché essa comporta il passaggio da un’esistenza sotto il segno del peccato a un’esistenza rinnovata dallo Spirito santo. Non a caso al cuore di ogni eucaristia si trovano sempre quegli elementi essenziali della parola, del pasto e del perdono che sono costitutivi della stipulazione dell’alleanza. Questi gesti non rinviano solo a un rito, bensì a realtà umanissime in cui si è invitati a vivere l’alleanza, cioè a far ridiventare corpo e sangue (il nostro corpo e il nostro sangue) il pane e il vino eucaristici.
Ecco l’alleanza: la vita che Gesù vive anche i discepoli sono chiamati a viverla, l’amore di cui vive Gesù, anche i discepoli sono chiamati a viverlo. Ovvero l’essere servi fino al dono della vita sull’esempio del Servo Gesù, “venuto non per essere servito ma per servire e per dare la vita in riscatto per le moltitudini” (Mc 10,45). Così dal Cristo servo si passa, attraverso l’alleanza, alla comunità serva ed essere nell’alleanza con il Signore significa saper perdonare, vivere il perdono.
Le parole di Gesù che proclamano il compimento dell’antica alleanza nel suo sangue, nel suo mistero pasquale, ma anzitutto nella sua vita, accompagnano la quotidianità di un pasto: non solo il mangiare e il bere, ma anche il dare da mangiare e il dare da bere.
(dalla Lectio" di Luciano Manicardi, priore di Bose)
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