In Gesù, il Regno si è davvero avvicinato e si mette alla nostra portata e non c’è nulla che possa impedirgli di giungere a piena manifestazione ma ci vuole ascolto, ubbidienza, perseveranza e fede nella fedeltà.
La settimana scorsa Gesù, prendendo l’iniziativa, ha attraversato il lago di Tiberiade per una missione fra i pagani ai quali invierà i discepoli. Per questo devono prenderlo “così com’è”, vale a dire: dovranno annunciare tutto l’Evangelo, tutto Gesù e non solo quella parte che si pensa più comprensibile e accettabile alle culture che incontreranno.
L’episodio della tempesta sedata è stata anche una rilettura di quanto accaduto a Giona. Anche lui, inviato con un messaggio a Ninive, incontra una burrasca: lui dorme, i marinai gridano, segue una grande bonaccia che fa nascere un “grande timore”. Marco vuole così darci una prima risposta alla domanda “Chi è costui….”: è qualcuno più grande di Giona e, se avrete fede, se metterete in lui la vostra fiducia lo vedrete quale vincitore di tutte le potenze avverse, anche della morte rappresentata dalla tempesta e dal mare, luogo delle potenze infermali.
Giunto sull’altra riva Gesù si misura con l’impurità. Nell’Evangelo di oggi viene toccato da una emorroissa, prende per mano una morta, viene pressato da una folla di pagani e, solo per questo, impuri. Nel giudaismo uno solo è il luogo dove l’impurità, anziché contagiare, viene purificata: l’altare dei sacrifici nel Tempio. Allora l’idea che Marco desidera iniziare a far passare è che Gesù è questo l’altare; aveva già alluso (in Mc 2,20) al ruolo del Servo (Is 53,10): “Se offrirà sé stesso in espiazione… si compirà la volontà del Signore; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità”.
I due miracoli di oggi si intrecciano e portano a constatare che l’intervento di Gesù è sempre gratuito e senza condizione, ma ricordano l’importanza della fede che deve essere duratura e perseverante: “continua a credere” dice Gesù a Giairo; “La tua fede ti ha salvato” dice all’emorroissa.
Gesù prende per mano la figlia del capo della Sinagoga e le dice di alzarsi: può aiutarla, sostenerla, ma è lei che deve risollevarsi. Ancora una volta il termine che indica la risurrezione come quando lui si è “alzato” nella barca dopo che lo hanno svegliato, anche qui nel racconto della ragazza e, indirettamente, anche la donna che si era gettata ai suoi piedi si rialza quando le dice: “Va in pace!”.
Sono due storie che raccontano situazioni di paura, di dolore, di disperazione, di quote di morte, di fallimenti, di discriminazioni, di pre-giudizi, di condanne preconfezionate. Su tutte queste Gesù fa scendere quelle semplici parole: “Talità Kum – rialzati!”. Non fa differenza se la situazione coinvolge la figlia un uomo di potere o una disgraziata identificata solo con il nome della sua malattia che però diviene “figlia”. Nei suoi confronti lui non aveva fatto proprio nulla: è passivo nei suoi confronti e invece sperimenta la potenza della fede e l’opera libera di Dio che gli dona una forza che guarisce suo malgrado e che la rende la donna nuovamente figlia pienamente partecipe dell’umanità dalla quale si era trovata esclusa.
Una cosa lega le due figlie: 12 anni di sofferenza dell’emorroissa e 12 anni di età della ragazza, quella dell’ingresso nella pubertà. Tutte e due vengono riportate alla possibilità di generare.
Sono due racconti al centro dei quali sta un Gesù che non si tira indietro, che invece “tocca” e viene “toccato”. Anche noi siamo invitati a “toccare” coloro che incontriamo nelle loro situazioni faticose di vita, in questo frattempo nel quale siamo chiamati ad essere le sue mani, che donano conforto nella sua misericordia.
Nessun commento:
Posta un commento