Stefano Allievi, sociologo, scrive: il problema non è denunciare l’immigrazione, o l’islam (come se fosse pratica abituale tra immigrati e musulmani uccidere le figlie!). Serve pensiero, non retorica. Pratiche di integrazione, non capri espiatori.
L'Unione delle Comunità Islamiche Italiane (Ucoii) è pronto, in concerto con l’Associazione Islamica degli Imam e delle Guide Religiose, all'emissione di una Fatwa (sentenza giuridico-religiosa) contro i matrimoni combinati e l'usanza tribale dell'infibulazione. In calce il Comunicato Stampa dell'Ucoii
Saman Abbas: 18 anni e una vita davanti. Che una famiglia bigotta e la minaccia di un matrimonio imposto hanno cambiato per sempre. Come, lo sapremo alla conclusione delle indagini.
È una storia comune, quella del conflitto che ha vissuto. Che si presenta spesso nelle famiglie “tradizionaliste”, quale che sia la tradizione di riferimento (religiosa, etnica, tribale, in ogni caso popolare, da qualche parte, e tramandata come si tramandano le tradizioni, per inerzia e imitazione), ma che normalmente si risolve in altro modo: passando attraverso conflitti familiari dopo tutto fisiologici, che servono a inghiottire la novità, la libertà e il riconoscimento dei diritti individuali, non a rifiutarli o conculcarli fino alla soppressione della vita.
Le tradizioni che vanno contro la legge vanno denunciate. Con forza. Quelle che vanno contro la morale diffusa e il senso comune vanno ingaggiate in una discussione senza reticenze. Ma serve pensiero, non retorica. E pratiche di integrazione, non capri espiatori.
Il problema non è denunciare l’immigrazione, o l’islam (come se fosse pratica abituale tra immigrati e musulmani uccidere le figlie! E il matrimonio combinato non fosse presente alle più diverse latitudini, e peraltro come pratica ancestrale prima che come costume religioso). Mettere sotto attacco le culture in quanto tali porta spesso a una chiusura intracomunitaria ancora più ferrea. Il cammino giusto è fare l’opposto: bisogna incontrare le comunità, parlare, dialogare, coinvolgere – in una parola, integrare. Mettendole di fronte all’orrore di casi come questo, collaborando a trovare mezzi e vie d’uscita, combattendo insieme un’omertà comunitaria difensiva che è essa stessa parte del problema. Coinvolgendo come attori privilegiati proprio le nuove generazioni, i figli degli immigrati, che sono in prima linea in questo confronto/scontro culturale.
In altri paesi europei, quando è emersa la piaga dei matrimoni forzati, è aumentato l’impegno e l’investimento in attività di integrazione, non diminuito. E lo si è fatto non contro le comunità, ma con loro, coinvolgendone i vertici nazionali e locali, sia etnici che religiosi (di molte etnie e religioni: la piaga è diffusa, e il confine tra matrimonio combinato e matrimonio forzato non sempre facilmente discernibile), in concrete iniziative sul territorio, nei quartieri e nelle scuole a rischio, facendo iniziative congiunte di educazione, cioè prevenzione, cioè integrazione, cioè il bene di tutti.
In passato altri casi (e purtroppo altri omicidi) si sono visti, soprattutto in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, cioè le regioni più sviluppate e avanzate del paese. Non è una contraddizione. Non potrebbe essere che così, visto che qui vivono la maggior parte degli immigrati, dando un contributo percentualmente assai superiore al loro numero alla produzione di ricchezza di queste aree, in cui si sono spesso inseriti bene. Tanto bene da fare famiglia – cioè proiezione (anche se inconsapevole) sul futuro – qui. È in questa realtà che si trovano a vivere i loro figli, e una delle contraddizioni (e delle occasioni di litigio familiare) è che i genitori vivono spesso voltati all’indietro: la loro cultura è quella d’origine, e il paese dove sperano di ritornare anche. Per i loro figli e figlie (ché le donne – il corpo e la volontà delle donne – sono sempre il terreno privilegiato di scontro delle culture che non a caso definiamo patriarcali) le cose stanno in maniera completamente diversa: sono proiettati qui, e questo è il loro paese, di cui a giusto titolo vorrebbero la cittadinanza (che, incidentalmente, aiuterebbe nell’affermazione di una consapevolezza e di una volontà autonoma, anche simbolicamente diversa e slegata da quella dei genitori).
È dunque questo paese – il loro – che deve reagire. Denunciando senza ambigue comprensioni e tolleranze l’inaccettabilità e persino l’indicibilità di comportamenti che coartano la volontà individuale, e ogni e qualsiasi tipo di violenza e sopraffazione. Reagendo con fermezza, forza e autorevolezza contro le discriminazioni interne alle comunità (nei confronti delle donne, in primo luogo) – e, per coerenza e maggiore legittimazione di questo suo sforzo, quelle esterne (nei confronti degli immigrati stessi). E dando una mano, anche e proprio rafforzando i soggetti deboli (le donne e i figli) con pratiche di empowerment e di integrazione diffusa. Solo così si risolvono i conflitti attuali. E si prevengono quelli futuri.
(in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 2 giugno 2021)
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UCOII: Caso Saman, Pronti con una fatwa contro i matrimoni combinati e l’infibulazione
Il caso della giovane Saman Abbas, ragazza pakistana scomparsa nel reggiano, a Novellara, dove risiede la sua famiglia, e dopo aver denunciato i genitori perché volevano imporle un matrimonio combinato, ci ha sin dall’inizio amareggiati e preoccupati.
Il presidente dell’UCOII, Yassine Lafram, ha sin da subito seguito i primi lanci di agenzia per conoscere e aggiornarsi su quanto accade alla nostra sorella Saman. Fortunatamente sono episodi che non hanno, per quanto a nostra conoscenza, un’estensione e una frequenza importanti ma sappiamo che all’interno di alcune comunità etniche persistono ancora situazioni e comportamenti lesivi dei diritti delle persone. L’UCOII respinge con forza questo tipo di concezione della condizione femminile e in generale della vita delle persone: sono comportamenti che non possono trovare alcuna giustificazione religiosa, quindi assolutamente da condannare, e ancor di più da prevenire. A tal proposito, e per rafforzare la sensibilizzazione e aumentare la prevenzione, l’UCOII emetterà – in concerto con l’Associazione Islamica degli Imam e delle Guide Religiose – una fatwa contro i matrimoni combinati forzati e l’altrettanto tribale usanza dell’infibulazione femminile.
Allo stesso tempo rigettiamo qualsiasi speculazione politica di questa triste vicenda che mira ad infangare l’intera comunità islamica italiana.
Preghiamo per Saman Abbas che ritorni sana e salva e rivolgiamo un appello alla sua famiglia: non costruiamo odio ma amore partendo dal rispetto della vita.
Roma, 31 maggio 2021
Ufficio Stampa Unione Comunità islamiche d’Italia
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