Tutti i processi degenerativi hanno un inizio e quello della perdita di qualità della formazione dello studente comincia con due scelte politiche consonanti dal punto di vista cronologico ma velleitarie dal punto di vista degli esiti: l’una affidata alla commissione dei saggi istituita dal ministro Berlinguer per definire le coordinate di “una nuova scuola” per i decenni a venire (1997), l’altra importando in Italia un modello ordinamentale anglosassone, il cosiddetto 3+2 (1999), del tutto estraneo alla nostra storia, con l’intento di dare una sforbiciata al tempo della formazione universitaria dello studente italiano. Scelte cariche dello spirito utopico di un’idea di scuola di massa che avrebbe conseguito risultati di qualità “destrutturandosi e riedificandosi” in coerenza con la fluidità del mondo del lavoro, e nell’illusione che l’accorciamento del percorso di studi universitario vi avrebbe immesso i giovani a 22 anni, come accadeva in tutto il mondo avanzato, invece che a 26, come accadeva allora in Italia. Scelte pensate “investendo” sulla partecipazione delle famiglie, come recitava il documento congedato dalla commissione dei saggi.
A distanza di cinque lustri il bilancio è ...
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