Dai campi profughi alla Jihad: l’infanzia dei miliziani scandita dai raid dell’Idf. Come Abu Shujaa, 26 anni, celebrato da eroe, che Israele ha eliminato. Ma tra loro c’è chi ha perso la speranza: «La lotta armata è destinata a fallire».
Lo scorso aprile un giovane dal viso scavato viene immortalato mentre cammina per le vie di Tulkarem. Imbraccia un fucile durante un corteo funebre. Niente di nuovo per una città abituata alle rituali processioni che seguono la morte dei combattenti dopo i raid israeliani. Però quello non era un ragazzo qualunque, era Abu Shujaa (“il padre del coraggio”), leader delle Brigate Tulkarem dal 2022, gruppo affiliato alle Brigate Al-Quds, l’ala militare del movimento palestinese della Jihad islamica.
Abu Shujaa, che era stato dichiarato morto due giorni prima. L’esercito israeliano aveva annunciato la sua morte, al termine di un raid nel campo di Nur Sham: ucciso in una casa dove si era nascosto con i suoi uomini. Un’operazione, quella israeliana, che aveva coinvolto il servizio di sicurezza interna, Shabak, e la guardia di frontiera. Un raid durato giorni, che aveva provocato morte e distruzione nel campo di Nur Sham.
Ma Abu Shujaa non solo era sopravvissuto, si mostrava in strada, in mezzo alla gente, che già lo considerava un eroe, perché ...
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