XXIV Domenica PA - Mc 8,27-35

"Chi dite io sia per la gente e per voi". Sono domande che Gesù ci pone “per la strada” della nostra esistenza ed è con la nostra vita che possiamo testimoniare che lui è Cristo ed è una grazia se la nostra risposta rimane sempre aperta perché altrimenti si spegne il dialogo e si cade nel monologo autogratificante.

 


La Liturgia ci ha proposto nelle scorse settimane un clima molto teso tra Gesù, gli scribi, i farisei ma anche con i discepoli che non riuscivano a capire la differenza da lui proposta sul rapporto che c’è tra purità e impurità. Si è poi addentrato nella Decapoli in territorio pagano tra Tiro e Sidone dove gli è stato portato un sordo che anche balbettava: immagine di una comunità che non riusciva ad ascoltare e che quindi era incerta nel suo camminare sui sentieri proposti dalla Scrittura.

 

Oggi, riunitosi di nuovo con i discepoli, da Cafarnao inizialmente costeggia il Lago di Tiberiade giungendo a Betsaida e poi si dirige rapidamente verso l’estremo nord della terra d’Israele girando tra i villaggi attorno a Cesarea di Filippo. Era questa la capitale di quella parte di territorio avuta in eredità da Filippo alla morte di suo padre Erode il Grande ed è anche oggi una terra ricca d’acqua, alle pendici del monte Ermon che permette una vita agiata.

Per la strada” Gesù pone due domande ai suoi discepoli. Fino a questo momento l’Evangelo ci ha accompagnato a porci delle domande su chi lui sia, ma ora le parti si invertono ed è il Signore che ci interroga per vedere cosa prima “la gente” e poi noi abbia percepito del tipo di uomo che incarna e che propone di realizzare a chi lo segue o lo incontra.

La risposta dei discepoli è in parte confortevole. “La gente” ne ha un’idea abbastanza precisa: non lo identifica con una persona agiata, né come un dignitario di corte e neppure come un dottore della Legge o un sacerdote. Gesù appare loro come uno che ha la schiena diritta che fa quello che dice così come faceva Giovanni Battista. È sempre ben presente e fedele in quello che crede; non lo contamina con altre tensioni religiose presenti nelle terre pagane percorse in lungo e largo; sa che può diventarne schiavo; non gli interessano i privilegi che potrebbe avere dai maggiorenti di quei villaggi. In questa rettitudine assomiglia ad Elia che sfidò e vinse contro i sacerdoti degli idoli pagani. In ogni caso assomiglia a uno dei profeti che hanno attraversato la vita di Israele. Non è sbagliato, ma non è quello che Gesù desiderava comprendessero dal suo modo di vivere e della sua proposta da condividere.

Allora pone la domanda diretta anche a noi: “Ma voi, chi dite io sia?” cioè: “Ma chi sono io per voi? Dopo avermi conosciuto, che tipo di uomini volete essere? Quanto siete convinti della mia proposta di un essere uomini secondo il cuore del Padre?”

Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo”. La reazione di Gesù è del tipo “Vabbè, ho capito, devo ricominciare a spiegarvi tutto daccapo questa volta senza giri di parole”. Questo perché la risposta nascondeva il pericolo che, sotto sotto, continuassero ad attendere uno dei Messia regali che avrebbero restaurato il Regno di Israele, liberandoli dalla dominazione romana. Non per nulla Marco scrive che “cominciò a insegnare loro” … ma in quei quasi due anni passati assieme che cosa aveva fatto se non “insegnare loro”? e il termine con il quale inizia “il Figlio dell’uomo” in aramaico significa “il prototipo di uomo” che vi sto delineando non è quello di un Messia regale. Tutt’altro. Tanto è vero che Pietro lo “prese in disparte e prese a rimproverarlo” similmente a quello che aveva fatto Gesù con loro al ritorno della missione nella quale si erano presi delle licenze oltre al mandato ricevuto e avevano il bisogno di essere ricondotti con i piedi per terra. Quel “rimproverare” in greco è il verbo con il quale gli Evangelisti raccontano gli esorcismi di Gesù quando deve scacciare un demonio. Lo stesso verbo è infatti usato nei confronti di Pietro da parte di Gesù: “Vai dietro a me satan perché cerchi di dividermi dalla volontà d’amore del Padre” e “convocata la folla”, cioè noi, “disse: se qualcuno vuol venire dietro a me …” pone tre condizioni con tre imperativi.

1)    Rinuncia a fare tutto in vista di te stesso, al tuo bisogno; guarda invece a quello del fratello

2)    Fallo per amore e non per costrizione; questa ti farà solo soffrire. Sappi però che devi mettere in conto che non sarai osannato ma ostacolato

3)    Seguimi” che non significa fare come i pappagalli ma fare le nostre scelte avendo come riferimento il suo insegnamento ascoltando la sua Parola nella preghiera.

La risurrezione che promette non riguarda il futuro, ma se uno vive queste tre condizioni vive già una vita riscattata dal peccato del mondo, è una vita degna di essere vissuta in eterno perché della stessa realtà di Dio.

 

Sono domande che Gesù ci pone “per la strada” della nostra esistenza ed è con la nostra vita che possiamo testimoniare che lui è Cristo ed è una grazia se la nostra risposta rimane sempre aperta perché altrimenti si spegne il dialogo e si cade nel monologo autogratificante.

(BiGio)

 

 

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