Per immaginare il futuro, dovremmo provare a volgere il nostro sguardo a Oriente.
Anzi, a immergerci dentro al continente asiatico, per osservare da vicino, prendere spunti (ma anche evitare errori) dalle tante realtà che vanno sempre più veloci rispetto al resto della Terra, dalla tecnologia alla cultura, dall’informazione ai conflitti, l’Intelligenza artificiale e i cambiamenti sociali. Parte da questo assunto 2100. Come sarà l’Asia, come saremo noi (Mondadori, pp. 185,
e 18,50), il saggio di Simone Pieranni (Genova, 1974), giornalista e divulgatore che in Cina ha vissuto per anni.
Pieranni porta i lettori in quel continente dove i ragazzi «sono molto più vicini ai giovani europei di quanto non lo fossero i loro genitori, perché vivono le stesse trasformazioni, le stesse ansie, i medesimi sogni». Si passa da Singapore, dove c’è un locale in cui nel Martini non troverete olive ma meduse; dove il caviale è di aglio e si mangiano locuste. È forse questo il cibo del futuro, oggi che il cambiamento climatico sta mutando le nostre certezze?
O ci si ritrova nel quartiere di Gang-nam, a Seul, dove spuntano ovunque cliniche di chirurgia estetica: qui le cinesi vanno in massa a «correggere» i loro lineamenti nel Paese (la Corea del Sud) in cui alle donne è stato insegnato che la bellezza è la loro più grande risorsa. E dove ora è in atto una rivoluzione femminista, tra le più giovani, che rifiutano il parto, i matrimoni e i rapporti eterosessuali. E i tassi di natalità sono al minimo storico.
Jessica Chia
(su "La Lettura")
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