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Mt 17,1-9 – II Quaresima - Una preghiera di Dio sussurrata a noi: "Vi supplico: ascoltatelo!"

Siamo abituati a pensare la Quaresima come un tempo penitenziale, di sacrifici, di rinunce. L’Evangelo di oggi è invece pieno di luce, di una energia che desidera mettere ali alla nostra speranza verso un orizzonte del tutto nuovo, quello della Pasqua di Risurrezione e il mondo della Parusia dove “Non ci sarà più notte; (i suoi servi) non avranno bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,5).


La vita di Gesù è stata un cammino verso Gerusalemme, dove l’aspettava la croce ma anche la risurrezione, vivendo come noi immerso nella seduzione dell’uso del potere. Questo, in sintesi, quanto l’Evangelo di domenica scorsa ci ha messo davanti agli occhi e il richiamo di Gesù è stato chiaro: ci è chiesto di vivere “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Questa assiduità alla Parola è quello che conta perché in questa il Padre ci indica la sua volontà e troviamo la forza per rimanere fedeli a quel servizio agli altri al quale ci chiama.

 

Quando Gesù, nella pericope immediatamente precedente a quella di oggi, ha chiesto ai discepoli chi lui fosse, Simon Pietro (“Pietro” un soprannome che, per dirlo alla romana, significa “testa de coccio” come è la nostra) rispose “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Subito dopo Gesù “Cominciò a spiegare che doveva andare a Gerusalemme, venire ucciso e risorgere” Pietro (qui viene chiamato con il suo appellativo, non con il suo nome) “lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo” (due termini che vengono e non a caso, usati anche nell’Evangelo di oggi). Gesù si gira di scatto dicendogli che gli è Satana e lo invita a tornare dietro di lui (le stesse parole usate verso il diavolo nelle tentazioni) perché, invitandolo a pensare secondo gli uomini, tenta di farlo inciampare e deviare dalla volontà del Padre. E continua poi invitando tutti a prendere la propria croce e a seguirlo perché “quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero (usando il potere), ma (così) perderà la propria vita?”. La vita si “guadagna” non dominando ma servendo, non togliendo la vita ma offrendo la propria; l’effetto di questo orientamento per il bene degli altri è una trasformazione, come quella del bruco in farfalla: è una “trasfigurazione”.

È questo che vedono i tre discepoli “Sei giorni dopo” dopo il rimprovero a Pietro, quando Gesù “li prese e li condusse in disparte su di un alto monte”. Vedono ciò che Gesù aveva detto loro: “i giusti splenderanno come il sole” (Mt 13,43) e “il suo volto brillò come il solele sue vesti divennero candide come la luce”, come quelle dell’Angelo che rotolerà via la pietra davanti al suo sepolcro (Mt 28,3).

La nostra traduzione a questo punto dice: “Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù”, ma una traduzione più letterale rende e fa comprendere meglio: “Allora reagì il Pietro” cioè quella testa dura di Simone per dire “Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè, e una per Elia”. Lo chiede non tanto per quella visione in sé stessa, quanto perché in questo modo richiama la Festa delle Capanne e, una delle attese messianiche del tempo, affermava che il Messia si sarebbe rivelato durante quella festa che ricordava la liberazione dalla schiavitù egiziana e il periodo trascorso nel deserto verso la terra promessa guidati da Mosè. È infatti quest’ultimo che Simon Pietro pone, come personaggio più importante, al centro. Certo, aveva riconosciuto Gesù come il Messia, ma lo attendeva in una logica da liberatore con la forza usata da Elia che scannò 450 sacerdoti di una divinità concorrente. Ma “stava ancora parlando, quando ecco una nube - cioè la presenza divina - li coprì con la sua ombra” e, di fatto interrompendo Pietro, “ecco una voce che diceva: Questi è il figlio mio, l’amato”. È il Padre che interviene direttamente mettendo i puntini sulle “i” riaffermando quanto aveva già detto nel Battesimo di Gesù “in Lui ho posto il mio compiacimento”. Questa volta aggiunge, quasi come in una preghiera sussurrata, Ascoltatelo!” perché state dimostrando che, fino ad oggi, non avete ancora compreso e non state facendo quello che lui oramai da tempo vi sta dicendo. “Vi prego, vi supplico, vi raccomando” cambiate atteggiamento e seguite quello che Lui vi dice, non quello che voi pensate secondo le logiche del mondo che fanno perno sulle capacità umane e sul potere che possono esprimere, non sul servizio.

I discepoli “presi da grande timore” sono sconcertati come dovremmo essere costantemente anche noi ogni volta che la misericordia del Signore interviene per suggerirci di correggere la nostra rotta. Lo fa avvicinandosi a noi, ci toccherà come sempre ha fatto e fa con gli ammalati guarendoli e ci dirà di alzarci (il verbo della risurrezione!) di rimetterci in piedi, di non temere a riprendere il cammino nella sua sequela, prendendo in mano la nostra vita (la nostra croce) con coraggio e andare verso la Pasqua e quella tavola imbandita alla quale siamo invitati, certi che le sue misericordie non sono finite, non sono esaurite le sue compassioni, ma che si rinnovano ogni mattina perché grande è la sua fedeltà. Senza temere di lasciarci prendere da lui per accompagnarci nella salita sul monte verso un luogo un po’ in disparte per avere un po’ di intimità con lui e comprendere che, per essere uomini “nuovi” ed avere quella bellezza splendente che i tre discepoli hanno visto in Gesù, è necessario donare la propria vita nel servizio rinunciando alle seduzioni del potere e del self-made man. 

(BiGio)

 

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