Ogni tempo liturgico che ci è dato di vivere è un dono, un’opportunità per rimettersi in cammino, per ridare vigore ai nostri passi a volte esitanti, stanchi o delusi. Un dono che ci è offerto anche in questo tempo di guerra, patita non solo dagli abitanti dell’Ucraina, ma anche da tanti altri popoli della nostra Terra, impegnati in lotte più o meno dimenticate dall’opinione internazionale.
La Quaresima è un tempo per lottare, ma non come stiamo facendo. «La nostra lotta — dice infatti Paolo — non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male» (Ef 6,12). La Quaresima è il «momento favorevole» (cfr. 2Cor 6,2) per una battaglia che vorrebbe prepararci alla Pasqua, che è passaggio dalla morte alla vita e non il contrario, verso un’esistenza più rispettosa della dignità nostra, degli altri e del mondo che ci circonda. Un tempo che dovrebbe essere abitato da domande capaci di aiutarci a rinascere; di parole che scandagliano il cuore, per rivelarlo a noi stessi che pure lo ospitiamo spesso ignorando ciò che lo abita. È quanto suggerisce il passo del Deuteronomio dove Mosè giustifica il cammino del popolo d’Israele per quarant’anni nel deserto con queste parole: «Per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore» (Dt 8,2). Nel testo ebraico non è chiaro chi sia il soggetto di quel “sapere”. Sembrerebbe Dio, ma egli conosce meglio di noi il nostro cuore. È dunque più probabile che quel verbo debba riferirsi all’uomo, bisognoso di prendere coscienza di quanto alberga nel suo cuore, perché da lì, come insegna anche Gesù (cfr. Mc 7,21-22), scaturiscono pensieri, sguardi e azioni.
La riflessione di Sabino Chialà continua a questo link:
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