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Per fermare i migranti paghiamo governi autoritari, razzisti, violenti: cosa succede nella Tunisia del presidente Saied

Come spesso è accaduto in questi anni, il naufragio di Cutro ha riacceso da un giorno all’altro i riflettori sulle stragi nel Mediterraneo, ma non sui contesti autoritari e repressivi dei paesi di transito o di partenza. La politica italiana a riproporre una formula che ha già dimostrato i suoi limiti, e che si basa sullo stanziamento di più fondi destinati ai paesi di partenza in cambio di una politica di controllo delle frontiere più dura. A dimostrare perché questa ricetta non funziona è uno dei principali paesi di partenza, verso il quale l’Italia ha iniettato più fondi: la Tunisia. 


In queste ultime settimane, le politiche di esternalizzazione delle frontiere europee a Sud del Mediterraneo hanno portato a una situazione paradossale nel paese nordafricano, dove l’apparato delle forze di sicurezza sotto il controllo del presidente Kais Saied, artefice della svolta autoritaria della Tunisia, è stato rafforzato dopo la rivoluzione del 2011 e continua a esserlo anche grazie al cospicuo contributo dell’Italia, che però non è servito a evitare la peggiore crisi economico-finanziaria che lo Stato tunisino attraversa dai tempi dell’indipendenza. 
Da fine 2022, cavalcando il malcontento generale causato anche da una serie di penurie di generi alimentari di prima necessità in Tunisia, il Partito Nazionalista Tunisino, un partito minore riconosciuto dallo Stato nel 2018, si è rafforzato e ha iniziato a fare campagna contro le persone nere presenti nel paese....


L'articolo continua di Arianna Poletti a questo link:


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