Al centro della quarta domenica di Quaresima – che nella tradizione latina prende nome di domenica Laetare, dall’incipit dell’introito della celebrazione eucaristica, Laetare Jerusalem, “Rallegrati, Gerusalemme” – vi è il tema della luce, o meglio dell’illuminazione, del passaggio dalle tenebre alla luce espresso nel vangelo dal racconto della guarigione dell’uomo cieco dalla nascita, racconto che acquista il senso di una pedagogia verso la fede in Cristo.
Tutte e tre le letture pongono il problema del discernimento. Si tratta del difficile discernimento di Samuele per scegliere colui che Dio ha eletto tra i figli di Iesse. Per discernere occorre guardare come Dio stesso guarda, nella coscienza che se “l’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore” (1Sam 16,7), o, come recita l’antica versione siriaca, “l’uomo guarda con gli occhi, il Signore guarda con il cuore”. Dove c’è un significativo passaggio da una relazione che rischia la cosificazione a una relazione autentica: si passa da ciò che viene guardato a colui che guarda e a come guarda. Dove si pone l’accento sullo sguardo di chi guarda, di chi discerne. A volte nelle relazioni di discernimento, di accompagnamento e di formazione si sbaglia proprio mettendo l’accento sull’altro fino ad oggettivarlo e dimenticando che ciò che è fondamentale è come io guardo, è il lavoro su di me. Nella seconda lettura il discernimento è richiesto al battezzato che, nella situazione in cui è “luce nel Signore”, è chiamato a discernere ciò che è gradito a Dio (cf. Ef 5,10-11). Il brano evangelico si apre con il diverso sguardo di Gesù e dei discepoli su un cieco, e prosegue con il percorso che porta il cieco guarito a discernere la vera qualità di Gesù e a confessare la fede in lui, mentre altri protagonisti dell’episodio si chiudono a tale discernimento e restano nella cecità spirituale (cf. Gv 9,39-41).
L'intero commento di Luciano Manicardi a questo link:
Nessun commento:
Posta un commento