Dice il Signore: "Chi crede in me vive in eterno" - Vivere oggi da risorti in eterno è possibile: basta "credere" ma, questo, non è un'esercizio intellettuale.
In queste settimane la liturgia ci fa fare un cammino attraverso le nostre paure. La paura di non saper colmare le nostre esigenze: siamo sempre alla ricerca di un’acqua che zampilli e ci risparmi la fatica di andare alla ricerca di ciò che può estinguere le nostre seti. Abbiamo paura del buio, di non riuscire ad avere la lucidità di sapere dove stiamo andando, di sbagliare, il terrore di ciò che ci è ignoto e sconosciuto.
Ma quello di cui abbiamo veramente paura è la morte tanto che la esorcizziamo continuamente cercando di rimuoverla dai nostri pensieri, ma è una paura che riassume e porta con sé ogni altra.
Nell’Evangelo di oggi Gesù incontra quella di un amico, ne rimane coinvolto tanto da non semplicemente piangere ma, con un’immagine molto più ricca, lascia scorrere le sue lacrime (questa la traduzione letterale e non semplicemente “si commosse profondamente”). Non è disperazione la sua: è dolore. La disperazione ti lascia inerme, ti fa abbandonare ogni speranza di futuro: si percepisce solo il vuoto senza una possibilità di salvezza per una vita che se n’è andata.
Quando il dolore lascia il posto alla disperazione, si fa spazio la rassegnazione che sembra essere l’unico rimedio per sopravvivere e, di fronte alle cronache quotidiane di morti e di morte siamo più che altro rassegnati, ripieghiamo arroccandoci su noi stessi. Pensiamo che tutto continuerà ad andare come sempre stato, che le guerre continueranno (ci basta che siano altrove dalla nostra realtà), che le malattie non saranno vinte, che le migrazioni continueranno con le morti che “inevitabilmente” comportano. Ma così, nella rassegnazione, muore anche la nostra vita.
Gesù invece, come Messia, è venuto a dirci che anche in queste situazioni buie e di morte, può germogliare una novità se noi abbiamo occhi per accorgercene e cuore per aderirvi. Ci ha mostrato che una vita donata per gli altri libera dalla paura della morte. Con il suo annuncio e con la sua vita ci ha mostrato che la storia può essere abitata da una novità radicale fonte e garanzia novità.
Se noi riusciamo a scorgere nel volto di Gesù i tratti del Signore, del Messia e del Figlio di Dio come hanno fatto Marta e Maria, può dirci: “Vieni fuori!”, esci dalle tue paure che sono i tuoi sepolcri sigillati e invitarci a sciogliere i legami che ci tengono legati, incapaci di reagire.
C’è un preciso invito di Gesù, quello di lasciar andare Lazzaro e, qui, l’Evangelista usa il medesimo verbo che adopera per indicare il cammino del Signore nel fare la volontà del Padre. In questo modo desidera precisarci che Lazzaro, una volta rianimato (e non risuscitato; si risuscita per l’eternità mentre lui morirà come tutti gli uomini), deve essere lasciato libero di immettersi nella sequela di Gesù ed è un invito a tutti noi. Una vita vissuta come Gesù ha fatto avrà il medesimo “sì” del Padre che la renderà eterna perché degna di essere vissuta per sempre.
Centrale in questo senso è l’affermazione solenne di Gesù: “Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vive; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno”. Credere in Lui non è però una adesione intellettuale, è ben altra cosa: è inserirsi nel suo modo di vivere e di fare. Questo ci porta ad essere già oggi nella realtà del Regno di Dio che non muore e, questa, è la “gloria di Dio” che, se crediamo, possiamo “vedere” e “godere” tutti i giorni.
(BiGio)
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