Il tema dell’analisi geopolitica legata al rinnovo dell’accordo del Mar Nero sul grano impone di discutere il ruolo dell’elefante nell’armadio: la Cina. In effetti, se da un lato l’Ucraina rimarca senza sosta che le sue esportazioni servono a “sfamare il mondo”, e le Nazioni Unite (con in testa l’Europa) ribadiscono che il 55% del grano trasportato attraverso il Mar Nero prende la via dei Paesi in via di sviluppo, un’analisi più attenta dei dati rivela una realtà molto diversa: la Cina, Paese considerato tra quelli in via di sviluppo dalle Nazioni Unite, egemonizza l’importazione di grano ucraino. Pechino ha importato circa 5,5 Mt di grano sulle 25 Mt totali esportate grazie all’accordo, incluso il 32% delle esportazioni di mais (4 Mt) e l’80% delle esportazioni di olio di girasole (1,1 Mt).
L’accresciuta capacità produttiva cinese non basta a soddisfarne il fabbisogno interno – impedendo di fatto alla Cina di esportare grano – e per di più l’apparato agricolo nazionale sta raggiungendo rapidamente i livelli strutturali massimi, producendo una serie di implicazioni che l’Europa ha il dovere di monitorare attentamente. Primo, la Cina, al contrario dell’Unione europea, ha una visione organica della sicurezza alimentare come pilastro tanto per la sicurezza domestica quanto per la volontà di proiezione esterna. Non a caso, nella proposta cinese di pace per porre fine al conflitto ucraino spicca l’insistenza sulla dimensione agricola elementare della guerra, e sulla necessità di preservare il corridoio commerciale nel Mar Nero. Visti i buoni rapporti che Pechino intrattiene con Mosca, non è del resto da escludere che la Cina cerchi di sostituirsi alla Turchia come garante dell’accordo attualmente in vigore, in caso la Russia minacciasse una nuova sospensione. Secondo ....
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