Un rimprovero diretto ed aspro. Una reazione spiazzante: con due rapide parole calma gli elementi naturali scatenati e poi, rivolgendosi ai discepoli pone due altrettanto secche domande: “Perché avete paura?” e “Non avete ancora fede?”.
Al termine di una faticosa giornata interamente impiegata da Gesù per spiegare nei suoi diversi aspetti che cosa assomigli il Regno dei cieli, invece di andare a riposare invita i discepoli a portarlo sull’altra riva del lago, quella non ebraica, quella pagana e, nella traversata incontrano molte difficoltà ed una tempesta che sta per travolgere la barca.
Il racconto di Marco evidentemente non è una cronaca perché è improbabile che si mettano ad attraversare il lago di notte, come lo è altrettanto che scoppi una improvvisa tempesta che esperti pescatori non riescano a rendersene in conto in tempo per porsi al riparo. Inoltre Gesù dorme “a poppa” che è il posto del timoniere e per di più con un comodo cuscino sotto la testa.
È chiaramente una parabola composta dall’Evangelista intessuta di immagini bibliche il cui significato è abbastanza conosciuto ed esplicito che può riguardare il percorso dell’intera vita di ciascun uomo, assieme a quella delle vicissitudini di ogni Comunità cristiana.
È quasi come se Gesù volesse provare a vedere cosa gli apostoli avrebbero saputo fare senza di lui o meglio dopo di lui, considerando che il termine greco usato per dire il “cuscino” sul quale dormiva, era il guanciale che veniva posto sotto la testa di un defunto. Tra l’altro nella Scrittura spesso il “sonno” è una immagine usata per indicare la morte. Le citazioni potrebbero essere molte.
Un particolare che normalmente sfugge è che, al fatto che gli Apostoli lo prendono “così come era nella loro barca”, Marco annota che “c’erano anche altre barche con lui”. Poi l’attenzione si concentra su quella degli Apostoli. Ora, se fin dai primissimi tempi la barca è l’immagine della Chiesa, lo è anche di tutte le Comunità le nostre comprese. Non è un caso che le volte delle navate centrali delle chiese spesso sono “a carena di nave”. Quello di cui Marco desidera farci prendere coscienza, è che ogni nostra Comunità naviga nell’oscurità di quella coltre d’acque che coprivano la terra prima della creazione, simbolo delle forze caotiche che impediscono la vita.
Quindi c’è una specie di flotta che naviga in queste acque avverse di notte per recarsi sull’altra riva che, nel frangente del racconto di questo Evangelo, è la riva pagana dove transitava la “Via del Mare” che congiungeva la costa mediterranea a Babilonia e sulla quale passavano tutte le genti pagane. A queste i discepoli sono invitati ed inviati ad annunciare la lieta notizia: le Comunità hanno senso solo quando, come continuamente invita papa Francesco, sono “in uscita”. Non è un compito facile; non lo è mai stato fin dall’inizio e il racconto degli Atti lo fa trasparire chiaramente. Prendere le misure con il compito affidato non è mai stato e non è semplice.
Anche nei nostri giorni le Chiese sono attraversate da temperie di non facile soluzione nella loro ricerca di interpretare per l’oggi, incarnandolo, il messaggio di Gesù. È esperienza di tutti come ogni Comunità che deve fare i conti quotidianamente con il cosa e il come svolgere il suo compito all’interno dei conflitti, contraddizioni ed ostacoli che si incontra nel cammino.
Nella Scrittura c’è un altro personaggio che, mentre infuria la tempesta e la barca sta per affondare, si mette a dormire lasciando che siano gli altri a togliersi dai pasticci: Giona. Sia quest’ultimo, sia Gesù sembrano quasi sparire dalla scena mentre tra gli altri che si stanno dando da fare, sale una tensione pronta a scoppiare. La storia di Giona la conosciamo e le acque si calmano quando lui si fa gettare in mezzo alle onde. In Marco, l’ansia e la fatica esplodono in termini conflittuali e, a differenza che negli altri sinottici che narrano il fatto, il rimprovero è diretto ed aspro: “Non ti importa che siamo perduti?”.
La reazione di Gesù è spiazzante: con due rapide parole calma gli elementi naturali scatenati e poi, rivolgendosi ai discepoli pone due altrettanto secche domande: “Perché avete paura?” e “Non avete ancora fede?”.
L’insegnamento che ci viene quando entriamo in un conflitto di qualsiasi genere e ambito si svolga dall’ecclesiale, al familiare, all’ambiente di lavoro, è di chiedersene la ragione e di capire cosa esprimono le emozioni che ci prendono. Queste ci raccontano sempre qualcosa di noi che ci è ancora sconosciuto perché le situazioni possono essere simili ma mai uguali. È anche facile percepire il Signore come assente e salire la nostra paura di affondare, di non riuscire a trovare soluzioni se non che lo scontro frontale, contando solo sulle nostre forze: è mancanza di fede. È in dimenticare che lui è sulla nostra barca, al nostro fianco “tutti i giorni fino alla fine dei tempi”.
(BiGio)
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