La fede di Israele fonda la maschilizzazione sulla circoncisione. Ma Paolo ribalta questa tradizione: ciò che conta è essere una nuova creatura. E così fa anche l’evangelista Luca.
Se il thémelion (il “fondamento”) della Chiesa è Gesù Cristo, allora la Chiesa nasce da una donna poiché in Lei è la cava, la sua cascata divina alla vita incarnata. Paolo non dice: “nato da uomo” ma: «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» ( Gal 4,4). Ciò nonostante nell'XI Concilio di Toledo si stabilì che il Figlio fosse generato e messo al mondo de utero patris pur di evitarne l’origine femminile. Del resto la maschilizzazione della nascita è presente prima del cristianesimo nel mondo antico del Mediterraneo. Un caso eclatante è quello della dea greca «dagli occhi verde azzurri», Atena, che, forse proprio per la sua sapienza, nacque direttamente dalla testa di Zeus, il dio padre che la partorì dopo aver inghiottito Metis, la sua prima moglie.
Anche Paolo, pertanto, che conosceva la cultura greca avrebbe potuto postulare che il Figlio fosse nato dalla mente – o dall’utero - del Padre. E un uomo come lui che vantava la piena identità ebraica (2Cor 11,22: «Sono Ebrei? Anch'io! Sono Israeliti? Anch'io! Sono stirpe di Abramo? Anch'io!») avrebbe potuto difendere – come facevano i cosiddetti “giudaizzanti” – la necessità di far circoncidere quelli che, tra i gentili, venivano alla fede cristiana. È, infatti, proprio sulla circoncisione che si fonda la “maschilizzazione” della fede di Israele. Innanzitutto perché è un taglio che spetta, giocoforza, solo ai maschi, e poi per il suo valore teologico biblico: chi è circonciso appartiene al popolo eletto dei figli di Abramo.
La circoncisione è un segno escludente che preclude non solo ai gentili ma prima ancora alle donne ebree un rapporto immediato con Dio...
L'intervento di Rosanna Virgili continua a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202405/240514virgili.pdf
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