Ecco allora oggi il racconto dell’incontro di Gesù con Zaccheo, un pubblicano, un peccatore per eccellenza, disprezzato, paragonato e assimilato ai pagani, alle prostitute, ai ladri, ai malfattori e agli adulteri per i soprusi che costantemente gli veniva “naturale” fare essendovi autorizzato dal suo mestiere di esattore delle tasse per conto di un re imposto.
Però questo uomo ha il desiderio sincero (il suo nome in ebraico significa "puro", "innocente"), senza secondi fini, di “vedere” Gesù che passava per Gerico, la sua città. Ma era piccolo e la folla che si accalcava gli impediva di realizzarlo: non pensava a nulla di più anche se il termine “vedere” nella Scrittura sottende l’instaurarsi di un rapporto tra le due realtà che si incontrano. Corre allora avanti e, non facendo caso alla dignità che il suo rango che gli imponeva, si arrampica su di un sicomoro.
Qui l’Evangelo ci propone un capovolgimento inaspettato: non è Zaccheo che dall’alto dell’albero riesce a vedere Gesù ma, viceversa, è Gesù che vede Zaccheo e lo invita a scendere subito “perché oggi devo fermarmi a casa tua”.
Non è il nostro “fare” che attira l’attenzione di Dio. È il Signore che costantemente ha lo sguardo su di noi; non per spiarci, bensì per salvarci. Siamo abituati a pensare che è l’uomo alla ricerca di Dio e una certa spiritualità che viene da lontano, dall’inculturazione della fede con il neoplatonismo, ci spinge in questa direzione. La Scrittura però, fin dalle sue prime pagine, ci dice tutt’altro: è Dio che è costantemente in ricerca dell’uomo: scende in cerca di Adamo ed Eva, scende per rivelarsi a Mosè e liberare il suo popolo, cerca la pecora persa, veglia e scruta l’orizzonte per vedere il ritorno del figlio.
È un Dio che bussa alla nostra porta per chiedere ospitalità come ci racconta anche l’Apocalisse e, quel “io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20), viene detto alla chiesa di Laodicea della quale Dio, poco prima, aveva detto: “Poiché sei tiepida, non sei cioè né fredda né calda, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3,16). Vale a dire che, anche di fronte alla peggiore delle realtà umane, il Signore è là che continuamente bussa ed attende pazientemente che gli sia aperta la porta.
A Gerico, peccatori o meno, la folla che accompagnava Gesù era molta ma, a lui, interessava solo la figura di un peccatore per eccellenza: Zaccheo. Se riesce a salvare lui significa che riuscirà a salvare tutti. In fin dei conti l’aveva detto fin dall’inizio che era venuto “non a chiamare i giusti, ma i peccatori per la conversione” e che “vi sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. Nonostante questo la folla mormora perché “È andato al alloggiare da un uomo peccatore” mentre tutti si attendevano e, forse, facevano a gara per potersi gloriare di averlo avuto ospite.
Il frutto immediato dell’incontro tra i due e dell’ospitalità reciproca è il capovolgimento del comportamento di Zaccheo, che diventa oltremodo generoso al di là di ogni disposizione della Legge e in forte contrasto con il suo passato fraudolento. La sua è una promessa e, in base a questa, Gesù dichiara “Oggi la salvezza è avvenuta (e non entrata) in questa casa”.
È questa la salvezza? Quanto ha promesso di fare Zaccheo? Certo, in questo caso la dimensione economica ne ha a che fare, ma non è tutto. Infatti poche domeniche fa c’era stato l’ammonimento di Gesù: “non potete servire a Dio e a mammona”: se si è ricchi non si aspetta più nulla e non si vede altro all’infuori della propria realtà di benestanti, non si scorge Lazzaro ai piedi della nostra tavola.
Non per nulla Gesù precisa: la salvezza è entrata nella casa di Zaccheo “perché anch’egli è figlio di Abramo”. Non dipende perciò dal nostro agire e dal nostro darsi da fare, bensì con il nostro “essere”. Non è però una questione etnica: l’essere o meno ebrei. Zaccheo lo era ma la salvezza “è avvenuta” nella sua casa e ha cambiato il suo modo di esistere in un preciso momento: quando ha accolto l’invito di Gesù di essere suo ospite e gli ha aperto la porta della sua abitazione, per condividere la sua realtà.
La salvezza allora è Gesù, è nell’incontro con la sua persona che ciascuno di noi trova vita, la ragione della sua esistenza e siamo chiamati ad esserne testimoni: lo saremo nella misura nella quale saremo capaci di porci alla sua sequela, vivendo il suo modo d’essere lungo i sentieri che lo hanno portato sulla croce.
Zaccheo si è spogliato delle sue ricchezze perché ha scoperto che la ragione d’essere non stava nel moltiplicarle all’infinito, ma nello sguardo che Gesù aveva posto su di lui. L’accorgersi di questo gli ha permesso di vivere in anticipo il momento della salvezza che Dio riserva a tutta la sua creazione.
La salvezza non è altro che l’amore con il quale Dio ci ama in Gesù Cristo che ci rende figli nonostante gli ostacoli che noi poniamo: la nostra statura (la misura dei nostri peccati), la società e i suoi impegni (la folla), le cose da fare.
Zaccheo oggi ci ha indicato la strada per superarli: rinunciare a sé stessi e aprire il nostro mondo agli altri, alzare gli occhi, vedere Lazzaro. Abbiamo però anche la certezza che Dio non cesserà di cercarci finché il Gesù non sarà riuscito, al prezzo della sua croce, a entrare in noi abilitandoci ad andare incontro agli altri riconoscendo in loro solo fratelli e sorelle.
(BiGio)
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