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Il bar e la teologia

Per chi, come me, vede nella teologia una materia intrigante e sconosciuta, il libro di Marco Ronconi, Teologia da bar (Effatà; cf. SettimanaNewsqui) appare un vademecum per cercare di non essere respinti dalla augusta disciplina, mentre c’è l’occasione di avvicinarla, magari solo chiacchierando davanti a un caffè.

Non sarebbe stata la stessa cosa se il titolo fosse Teologia da chiesa, perché io non frequento la parrocchia. Va così da quando, giovanissimo chierichetto, scappai lasciando la mia lunga tonaca sull’altare dicendomi: “qui non ci tornerò mai più”. Cosa fosse accaduto non lo ricordo.



Oggi, tolte le occasionali visite turistiche o gli incontri pubblici in chiesa o luoghi di chiesa – a cui certo non rinuncio -, è ancora così. Ma non sarei sincero se non aggiungessi che, a volte, entro in qualche chiesa per intrattenermi con quel senso della vita che anima anche la mia stessa vita. Mi capita da anni: non solo nei momenti di paura o di smarrimento, bensì pure in quelli di “godimento”.

Grazie a Marco Ronconi ora scopro che posso partecipare a qualcosa che a che fare con la teologia anche al di fuori delle chiese, anche al bar: anche questo termine non usato in maniera provocatoria, se accostato alla teologia.Che sollievo leggere, ad esempio, di una certa sessuofobia, guardata senza simpatia alcuna, sebbene con rispetto e considerazione! Che sollievo trovare che il godimento sessuale non è un peccato, da nascondere, tacere, rimuovere e non è da differenziare da altri godimenti, quale quello dello spettacolo gratuito di un’aurora o della lettura di un bel libro, del quale dire che si può godere appunto, benché si possa preferire un altro termine: gioia, ad esempio. Così come è sempre un godimento stare bene con gli amici.

Questo esempio mi fa considerare che la chiesa, in cui occasionalmente ritorno, mi ha insegnato a costruire una “casa” per Dio, ove, rispettando le regole e le forme del linguaggio, umanamente imposte, è possibile incontrarlo.

Se fossi nato in terra di musulmani sarei andato in moschea, anche per mangiare, chiacchierare con gli amici o fare un sonnellino: le moschee, infatti, sono vissute come le case che Dio ha edificato per gli umani. Vuol dire, forse, che, se fossi “nato” musulmano, in moschea avrei potuto incontrare l’intrigante teologia che qui, invece, mendico nei caffè vicini a casa mia?

La domanda mi si impone perché Ronconi spiega che lui, studiando teologia, si è occupato d’anima senza essere psicologo, di strutture sociali senza essere sociologo, di ferite umane senza essere medico, di parole senza essere un letterato, di narrazioni senza essere uno storico, di futuro senza essere un economista.

Dunque, io stesso sono un aspirante studioso di teologia senza saperlo, visto che mi interessano tutte queste materie, ma non ho mai studiato sistematicamente alcuna delle scienze che di questi temi si occupa.

L'intera riflessione di Riccardo Cristiano a questo link:

http://www.settimananews.it/teologia/il-bar-e-la-teologia/?fbclid=IwAR1C7wmJRR8UFszef7klQ4BoZ-UQ1zMqJ7iJSUFsVJPFmhKMX6_D1NnwlFk#comments


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