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"Siamo fumo": parola di Quhelet

Quando per caso mi sono imbattuto in un'ennesima traduzione del veterotestamentario e sapienziale Qohélet, confesso che ho provato un moto di fastidio; sarà come una nuova incisione delle Quattro stagioni di Vivaldi - mi sono detto - noiosa e del tutto inutile.Mi sono quindi deciso a dare un'occhiata al libro, non senza pregiudizi.

Ne sono rimasto folgorato. Il traduttore riesce a restituire un'inedita freschezza e eccitante sonorità e ritmo al testo.



Questo libro della Bibbia, esile e densissimo, è mio tormento da quando ero ragazzo: l'ho percorso in lungo e in largo nelle traduzioni più diverse, da quella settecentesca di Diodati a quella orribile "del Nuovo Mondo" in uso presso i geoviani, e giù fino al corrispettivo di quest'ultima, Erri de Luca, che a leggerla dopo quella di Ceronetti "fa l'effetto di un sushi dopo aver divorato una bella Fiorentina" come è stato giustamente notato.

Mi sono quindi deciso a dare un'occhiata al libro, non senza pregiudizi; si tratta di Qohélet, a cura di Piero Capelli, uscito nella collana di poesia di Ponte alle Grazie in prima edizione digitale il mese scorso. Ne sono rimasto folgorato. Il traduttore riesce a restituire un'inedita freschezza e eccitante sonorità e ritmo al testo. Con filologico puntiglio, ma senza appesantimenti eruditi, procede a un accurato restauro, eliminando i cascami della tradizione (apocrifi, aggiunte spurie, misinterpretazioni, ecc.) con mano sicura e appropriati argomenti a sostegno: “Al testo ebraico di Qohelet -scrive nella sua succinta nota- sono state aggiunte fin da epoca antica molte glosse, nel tentativo di spiegarne le espressioni più enigmatiche o di attenuare quelle più scettiche e agnostiche. Nella traduzione ho messo queste aggiunte fra parentesi uncinate < >, fuorché nel passo della ‘legge dei momenti’ (3,1-8), dove ai versetti 3,2.5.6 le ho direttamente espunte, perché spezzano il parallelismo degli emistichi e, quindi, che si tratti di aggiunte è un fatto e non un’ipotesi".

Quindi il famoso incipit della vanitas, vero "attacco musicale" dell'enigmatico Ecclesiaste diviene "Fumo, tutto fumo -dice Qohelet-: nient'altro che fumo". Un effetto a sorpresa per stupire e distinguersi? Tutt'altro, ecco la spiegazione che fornisce Capelli: “Hevel è il termine che apre e chiude il discorso di Qohelet, e che Gerolamo tradusse con vanitas. Fra i traduttori italiani recenti, Guido Ceronetti lo ha reso con ‘infinito vuoto’ o ‘infinito niente’, Erri De Luca con ‘spreco’, Piero Stefani con ‘soffio’, e ognuna di queste rese è in sé giustissima. Però la transitorietà dell’uomo e l’inconsistenza di tutto ciò che lo riguarda sono per Qohelet una condizione intrinseca e ineliminabile dell’esistenza, per indicare la quale non credo si possa ricorrere sempre a un solo medesimo termine italiano. Così ho tradotto con ‘fumo’ quando la connotazione predominante è quella dell’inconsistenza (per esempio a 11,8.10), con ‘soffio’ (che traggo da Stefani) quando è quella della transitorietà, e con ‘privo di senso’ o, apertamente, con ‘assurdo’ (...)”.

Ho dovuto ricredermi totalmente e quella che doveva essere un'occhiata si è trasformata in un'appassionata lettura del libro senza interruzioni, assaporando la poesia che questa versione gli conferisce. Pregio riservato agli specialisti ne è anche il testo originale che accompagna la traduzione.

 

Riporto qui di seguito l'inizio del primo capitolo:

 

Discorsi di Qohelet, figlio di David, re in Gerusalemme.

Fumo, tutto fumo – dice Qohelet –: nient’altro che fumo.

Che ci guadagna, l’uomo, da tutto il suo darsi da fare sotto il sole?

Una generazione va, un’altra viene, ma la terra è sempre la stessa:

il sole sorge e se ne va, e si affanna verso lo stesso posto dove sorge;

il vento va verso sud, gira verso nord, gira e rigira e va e torna a girare sui suoi giri;

i fiumi vanno tutti al mare, ma il mare non si riempie,

e i fiumi tornano ad andare verso il posto dove già vanno.

Ogni parola è una fatica, neanche si riesce a finire di dirla

(...) "

(Fabio Norcini)


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