Un convegno in Francia: come intervenire in maniera rispettosa ed efficace sulla vittima di abusi perché… non continui a esser vittima, a subire violenza distruttiva, un tempo fisica addirittura, ora d’altro genere, ma sempre destrutturante; e non unicamente da un aggressore preciso, ma anche da parte di altri, di chi oggi la dovrebbe aiutare a uscire dall’abisso in cui l’ha scaraventata quel gesto disgraziato; e non solo con azioni platealmente offensive nel passato, ma con omissione di gesti positivi e ricostruttivi nel presente.
Ovviamente, dietro a questo rilievo con le sue distinzioni c’è una certa idea, anche nell’immaginario collettivo ecclesiale, di chi è comunemente considerato “vittima”, oltre il piano della definizione giuridica.
È l’idea che la vittima sia solo o soprattutto persona vulnerabile e ferita cui prestare soccorso, “da riparare”, o da sopportare con compassione; o – all’opposto – da guardare con diffidenza e da cui difendersi. Non è ancora del tutto entrata nella nostra cultura la percezione della dignità della vittima legata proprio al suo dramma, che le riconosce una singolare cattedra o magistero, il “magistero delle vittime”. Tale espressione potrà sembrare eccessiva, in realtà non è nuova, dai tempi del famoso Simposio a Roma del febbraio 2019, fatta propria dai Sussidi del Servizio Nazionale Tutela Minori,[1] ma che non sembra ancora far parte di quell’immaginario collettivo di cui dicevamo, ove “magistero” è termine con altri referenti, più politically correct. Ma che – a sua volta – rimanda a una certa immagine, in particolare, della vulnerabilità umana, rischiando di non farcene cogliere il mistero.
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