Quale conoscenza abbiamo di Gesù o, meglio, che cosa significa il conoscerlo perché il pericolo è quello di imprigionarlo all’interno delle nostre immagini, nei nostri sogni, nelle nostre conoscenze, nei nostri criteri e modi di vivere facendolo diventare un idolo asservito a noi stessi
La Liturgia all’inizio di questo Tempo Ordinario ci ha portato quattro settimane fa in una casa nella quale c’era una folla attorno a Gesù mentre altri stavano fuori a criticarlo insinuando che i suoi poteri venissero da Beelzebù, il principe dei demoni. Il Signore ha avvisato che è importante lasciare sempre uno spazio all’azione dello Spirito; si possono avere dei dubbi ma non si devono emettere sentenze definitive commettendo l’unico peccato che non sarà perdonato quello contro lo Spirito.
Poi due parabole ci hanno detto a cosa assomigli il Regno del Padre: a un seminatore e al più piccolo dei semi che è di un arbusto infestante che si diffonde invitando ad avere la pazienza di attendere i tempi dell’uomo e dell’azione dello Spirito.
Dopo l’episodio della tempesta sedata con l’invito a non disperare mai perché lui è sempre con noi anche nelle difficoltà più dure, domenica scorsa la salvezza (non la guarigione) delle due “figlie” (quella di Giairo e quella dell’emorroissa) alle quali ha ridato vita ha sottolineato che nulla è impossibile a chi ha fede in lui e continua a “nutrirsi” della sua Parola.
C’è un ritmo nella proposta che la Liturgia ci propone nel seguire Gesù che non si è mai fermato un momento da quando ha lasciato la sua casa, c’è l’urgenza dell’annuncio della salvezza che lo spinge a passare da un paese all’altro, da una sponda del lago di Galilea all’altra ed è cadenzato da un avverbio di tempo: “e subito …”.
Oggi torna nella sua patria dalla quale s’erano mossi i suoi parenti per raggiungerlo e, rimanendo fuori della casa dove era, lo avevano fatto chiamare per cercare di riportarlo sulla “retta via” della tradizione, ma lui aveva detto che la sua famiglia sono coloro che fanno la volontà di Dio, non altro. Una casa della quale non si nomina il proprietario, una patria senza nome: Marco desidera avvisarci che quella casa è la “nostra” e quella patria è la “nostra” quindi siamo chiamati a misurarci con le reazioni descritte facendo attenzione a rimanere coerenti, disponibili a correggere il nostro atteggiamento per non escluderci dal Regno del Signore che si è fatto vicino a noi e disponibile ad accoglierci nel nostro oggi.
Nella sua “patria” non c’è alcun conflitto fintantoché, giunto il sabato, nella Sinagoga Gesù inizia ad insegnare ed è qui che, come al solito, nascono i problemi. Era già accaduto altre due volte ed il numero tre indica la totalità. Marco desidera così sottolineare che è nel confronto all’interno dell’istituzione che nascono i dissidi, che emergono le differenze. Infatti i presenti non rimangono indifferenti ma il loro stupore si traduce in una difesa ottusa e le domande che si pongono non sono di apertura ma di difesa del loro vissuto. Il verbo greco usato significa che sono rimasti colpiti nel senso di “feriti” da quello che lui diceva.
Riconoscono che c’è qualcosa di nuovo in quello che diceva ma si chiedono “da dove gli vengono queste cose” sottintendendo che non gli vengono da Dio e, quindi pregiudizialmente sono sospettosi della sua “sapienza”.
Qui c’è un’espressione carica di disprezzo: “non è costui questo il falegname, Il figlio di Maria?”. Non lo chiamano con il suo nome ma con un generico “costui”, inoltre con viene indicato con il patronimico come avveniva sempre, ma con il nome della madre. Questo significa o che non lo consideravano degno di portare il nome del padre o, peggio, che veniva considerato senza padre. Infine indicano il suo mestiere “il falegname” vale a dire uno che non ha un fazzoletto di terra da coltivare che era la “ricchezza” dell’epoca, quella che garantiva il sostentamento della famiglia. Quindi di fatto è un pezzente senza nome e senza padre che, difronte al bisogno dell’uomo, vìola il sabato, frequenta le case dei pubblicani, dei peccatori, accarezza i lebbrosi, si fa toccare da donne impure, prende per mano i morti. Non considerando nessuno immondo, non si rifiuta a nessuno, perdona i peccatori senza nemmeno chiedere prima se sono pentiti. È l’opposto del vivere secondo l’insegnamento dei padri e questo viene vissuto come insopportabile.
La domanda che tutto questo ci pone è quale conoscenza abbiamo di Gesù o, meglio, che cosa significa il conoscerlo perché il pericolo è quello di imprigionarlo all’interno delle nostre immagini, nei nostri sogni, nelle nostre conoscenze, nei nostri criteri e modi di vivere facendolo diventare un idolo asservito a noi stessi impedendogli di chiamarci a conversione incontrandolo e lasciando che sia lui a rivelarsi a noi. La conoscenza che abbiamo di lui può essere di ostacolo e non di aiuto alla fede e Gesù si meraviglia.
(BiGio)
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