Il desiderio della folla diventa per Gesù appello alla responsabilità e, mosso a “compassione”, accetta liberamente di servirla mettendosi dalla sua parte condividendo il loro bisogno, rinunciando ai suoi progetti di riposo e istruzione degli Apostoli.
I dodici tornano dalla missione nella quale erano stati inviati da Gesù a due a due dando loro “potere sugli spiriti impuri” (Mc 6,7) e, al termine della pericope, viene registrato che “essi, partiti, proclamavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano” (6,12-13).
Quando Marco riprende il discorso dopo l’interpolazione dell’arresto e del martirio di Giovanni il Battista, “gli apostoli– (solo due le volte che appare questo termine in Marco e non indica una funzione ma un incarico) - si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato” (Mc 6,30).
Se si fa attenzione al testo si notano alcuni aspetti importanti ai quali normalmente non si fa caso. Innanzitutto Gesù li invia dando loro un potere che può essere anche inteso come la definizione di un preciso compito, ma loro già si “allargano” invitando alla conversione e ungendo i malati.
Un ulteriore salto di qualità quando ritornano e “riferiscono tutto quello che avevano fatto” ma poi viene aggiunto anche “quello che avevano insegnato”. Qui bisogna andare a fondo sull’uso di quest’ultimo verbo da parte di Marco che utilizza solo quando Gesù parla agli ebrei facendo riferimento alla Scrittura, mentre quando si rivolge a folle miste adopera il termine “predicare”; quando raduna attorno a sé i 12, specifica “perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,14-15). Loro invece “insegnano” svolgendo un compito non affidatogli. Dopo averli ascoltati Gesù “disse loro: venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto e riposatevi un po’”. C’è certo un’attenzione nei loro confronti e il desiderio di far comprendere loro la necessità non solo di spendersi per gli altri ma pure di tempi di gratuità: la missione loro affidata si stava trasformando una sorta di tirannia delle attività tanto da non avere più “neanche il tempo di mangiare”.
Lungo il suo Evangelo Marco ci presenta per tre volte Gesù che si ritira in solitudine in luoghi desertici, quasi a scandire il suo racconto. Il numero tre significa armonia e completezza e il sostare proposto tende a raggiungere la piena consapevolezza della propria realtà, non certo solo il non alienarsi nel “fare”. Sono pause che donano nuova lucidità, rinnovano le motivazioni del vivere, danno equilibrio e nuova fecondità al suo agire. Gesù desidera che i suoi discepoli imparino e realizzino anche questo; è un invito anche a noi oggi che spesso, frastornati dal “fare”, giungiamo ad affermare che non abbiamo tempo per “ascoltare la Parola del Signore” cioè per pregare.
Ma in quel “venite in disparte” può esserci anche dell’altro. Questa espressione è la seconda volta che compare in Marco e tornerà altre tre volte per un totale di cinque. Quando Gesù prende qualcuno in disparte, è per un insegnamento o un'azione importante lontano dalla folla, evidenziano un momento di intimità o di istruzione privata. L’insegnamento dato con discrezione “in disparte” oltre alla necessità di “riposare”, può essere stata anche la necessità di mettere alcuni puntini sulle “i” del loro agire andato oltre a quello affidato sull’onda dei frutti che vedevano.
Per noi può significare a fare attenzione a non voler accelerare i tempi, a tener sempre presente l’esempio del seme nel campo che cresce indipendentemente dall’impegno del seminatore, a non voler eccedere dal proprio ruolo e compito affidato, che deve sempre essere svolto nella condivisione e fraterna compagnia di tutti.
“Molti però li videro partire (…) e li precedettero” dimostrando una sete senza pari di quanto visto realizzato dai discepoli e sperando di poterne usufruire ancora. Ora però loto rimangono sullo sfondo e l’iniziativa di Gesù “sceso – lui solo - dalla barca” vista la “grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. Nell’intera Scrittura questa motivazione è come un ritornello e il loro bisogno viene colto da Gesù come una occasione, non come un problema al suo progetto di riposo e di “istruzione” privata ai discepoli. Il desiderio della folla diventa per lui appello alla responsabilità e, mosso a “compassione”, accetta liberamente di servirla mettendosi dalla sua parte condividendo il suo bisogno. È questo il fondamento della sua azione pastorale che ci viene chiesto di condividere e far nostro. Altre motivazioni fanno diventare l’annuncio un esercizio accademico retorico o peggio ancora scadere in potere, perdendo ogni forza comunicativa. La compassione sviluppa invece una forza creatrice sorprendente e nella piena libertà porta molto frutto sorprendendo oltre ogni misura come si vedrà nelle prossime domeniche.
(BiGio)
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