L'insegnamento è semplice, cristallino: «Non omologarsi, continuare pensare con la propria testa, cercare di non essere i soldati ossequiosi e disciplinati della prossima guerra».
Per Amos Gitai, il regista israeliano che non ha mai avuto timore di esprimere critiche verso il governo del suo Paese, il cinema è un atto artistico, ma anche un impegno civile, una presa di posizione contro quelle «forze che vogliono andare avanti con un conflitto che sopprime i diritti umani». Il suo ultimo film Shikun , in cartellone al Taormina Film Festival, è un'acuta metafora sul dramma che insanguina il Medio Oriente: «Quanto tempo ci vorrà – s'interroga uno dei personaggi alla fine dell'opera – prima che i figli dicano ai padri di fermarsi, prima che chiedano loro perché hanno permesso che fossero bombardati villaggi?».
L'intervista di Fulvia Caprara è a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202407/240715gitaicaprara.pdf
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