È uscita la notizia di una sentenza della Corte d’Appello di Milano, che hanno assolto in secondo grado l’ex sindacalista Cisl Raffaele Meola, accusato da una hostess di violenza sessuale. Il fatto sarebbe avvenuto dopo che la donna si era rivolta a Meola per avere assistenza su una vertenza: l’assoluzione si baserebbe sul fatto che - ed è incredibile, davvero - la hostess avrebbe detto di no troppo tardi. Dopo 20 secondi, per la precisione.
A parte che vorrei capire chi era che stava con il cronometro in mano e ha preso l’intertempo degli avvenimenti fissando il giro del “no” a 20’’, per poi far omologare il diniego e utilizzarlo per screditare la vittima della violenza, ci risiamo: ancora una volta ci si scontra con la carenza delle leggi italiane in materia di consenso. E ancora di più, ci si scontra con il fatto che noi parliamo continuamente di violenze e abusi, ma non li capiamo. Non capiamo proprio come funziona, la violenza, agita e subita: che sensazioni dà a chi la agisce, e quali reazioni scatena in chi la subisce. Non capiamo quanto la violenza sia parte integrante dell’educazione dei maschi, e allo stesso modo quanto le donne siano addestrate a tollerarla, entro determinati limiti, per portare a casa la pelle.
Ma soprattutto, dicevo, abbiamo della sessualità femminile un’idea talmente passiva, talmente recessiva, da non concepire che la mancanza di “no” possa voler dire altro che “sì”. Se pensiamo alle donne (e le rappresentiamo) non come soggetti desideranti ma solo come oggetti del desiderio, ne deriva che la donna può solo reagire al desiderio dell’uomo, può dire “no” se non lo accoglie, ma subito, perché altrimenti non vale. Ormai l’hai data. Non te la puoi riprendere.
Il consenso, ancora una volta, può essere solo: libero, esplicito, revocabile in qualsiasi momento. Viviamo in un’epoca in cui anche i protagonisti immaginari di Bridgerton chiedono alle loro partner il consenso a un contatto sessuale¹, ma per gli uomini reali dei nostri tempi chiedere è considerato irrilevante. Ed è solo la metà del problema, qui: perché l’altra metà è l’assunto per cui l’abuso sessuale si compia in una situazione di buona fede, che sia un abuso accidentale, che il poveruomo in questione non potesse sapere di compierlo. Perché oh, quella ha detto no dopo ben venti secondi. Come faceva a sapere che era proprio un no? Ormai lui c’era.
Non è così che funziona. Un rapporto sessuale è un rapporto sessuale se tutte le parti acconsentono e sono coinvolte. Altrimenti è una violenza, e chi la compie lo sa. Lo sa benissimo. È parte del divertimento, è parte del godimento, disporre di una persona che percepisci essere vulnerabile, impossibilitata a difendersi, e che si dovrà scontrare con l’impossibilità di essere creduta. E anche quando le crederanno, si assumerà comunque il punto di vista del suo aggressore. Poverino. Come poteva saperlo? Venti secondi!
Qui le cose sono due: o ci interessa che questo cambi, e quindi cambiamo il discorso intorno al consenso, riformiamo le leggi sulla violenza sessuale fornendone una definizione precisa, allunghiamo i tempi per la denuncia e la smettiamo con queste sentenze surreali e umilianti, oppure non vogliamo che cambi niente e ci sta bene continuare a trattare lo stupro come un incidente di percorso, qualcosa che può succedere a tutte.
(Giulia Blasi)
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