I tre termini di distacco di Gesù (patria, parenti, casa) sono alla lettera gli stessi tre termini che comandano la prima vocazione profetica della storia, quella che ha dato inizio a tutte le altre: la vocazione di Abramo. “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, dalla casa di tuo padre” (Gen 12,1). “Vattene”, lo sappiamo, esprime un comando con molta forza
“Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. “Disprezzato”, in greco è àtimos: poco stimato, sottovalutato. Vi è una sorta di pregiudizio negativo, per chi ha una vocazione profetica o religiosa, proprio da parte di coloro che gli sono umanamente più vicini, ossia da parte dei suoi stessi famigliari. Detto altrimenti: per avere una vocazione profetica, o perché questa sia autenticamente vissuta, è necessario un forte distacco familiare, se non proprio una rottura degli affetti.
I tre termini di questo distacco (patria, parenti, casa) sono infatti alla lettera gli stessi tre termini che comandano la prima vocazione profetica della storia, quella che ha dato inizio a tutte le altre: la vocazione di Abramo. “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, dalla casa di tuo padre” (Gen 12,1). “Vattene”, lo sappiamo, esprime un comando con molta forza: Va via, esci fuori, rompi con la tua casa. Lekhlekhà, come si dice in ebraico, letteralmente si può anche intendere come “va per te”, come fosse un dativo di interesse o di vantaggio: è necessario per te, è dovuto dalla tua vocazione profetica, che tu te ne vada via dalla famiglia.
Nel brano evangelico di oggi, Gesù fa ritorno proprio a casa sua, tra i suoi familiari di Nazareth. Questa sua visita, apparentemente inaspettata, suscita un grande stupore nei suoi concittadini. È come se non lo riconoscessero più, come se stentassero a riconoscerlo o non credessero ai propri occhi: “Non è costui il falegname (tékton, più genericamente un “artigiano”, e bisogna aggiungere che gli artigiani, nell’antichità, e specialmente in ambito ebraico, erano piuttosto stimati per il loro mestiere, erano considerati come persone particolarmente sapienti)?”.
Questo può voler dire che forse per qualche tempo Gesù era stato un “artigiano” (Mc) o più probabilmente che era “il figlio di un artigiano” (Mt 13,55), ma che ora essi non lo riconoscono più come tale: è cambiato, non è più lo stesso, è un’altra persona. L’immagine di Gesù adulto che lavora nella bottega del falegname è fortemente contraddetta dalla meraviglia degli abitanti di Nazareth che si legge in questo vangelo. Certamente Gesù, che era ancora giovane, deve essere stato per molto tempo assente dalla città della sua infanzia, deve aver vissuto lungamente altrove.
Questa sua lunga assenza, probabilmente vissuta nel deserto, crea lo sconcerto, anzi un vero e proprio “scandalo”, un motivo di assoluta incredulità in coloro che lo sanno essere il “figlio di Maria” e conoscono i suoi fratelli e le sue sorelle: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?”. Una incredulità così grande da meravigliare lo stesso Gesù e da impedirgli di operare altri miracoli, ma da ridurlo quasi all’impotenza: “Non poteva compiere nessun prodigio”, registra Marco non meno efficacemente di Matteo.
Perciò Gesù cita il proverbio del profeta disprezzato, quasi come se il disprezzo fosse una specie di necessità connaturale per chi vuole amare Dio, e questo amore lo pone in rotta di collisione con altri amori.
Dice anche un anziano, in un apoftegma dei Padri del deserto: “Sappi che, se vuoi essere un amico di Dio, devi essere pronto, perché gli uomini insorgeranno contro di te e avranno poca stima del tuo cuore” (Geronticon Etiopico 479).
(fr Alberto di Bose)
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