La mala educazione dei maschi

È importante esaminare la matrice comune che collega l’ipermaschilità esibita dai militanti nelle associazioni di estrema destra e la decisione di Filippo Turetta di uccidere la sua ex, colpevole di aver voluto (secondo quanto riportato dal suo interrogatorio) una vita senza di lui.

  

Poster di Casapound su Filippo Turetta (Fonte: La Stampa)

C’è molto da dire sul genere di maschilità esibita dagli attivisti di CasaPound, appena una tacca al di sopra del grugnito, tutta bicipiti e cori razzisti urlati in modalità stadio. Quando cominciano a berciare “Siamo fascisti mica poveri coglioni”, il resto di noi gente normale pensa “Eh, guarda, non so”. 

Questi fascisti sono però all’incirca gli stessi che quando Filippo Turetta fu arrestato dissero che era colpa - indovinate? - della “rieducazione” operata da non si sa bene chi, forse il gender o forse le femministe o forse tutt’e due le cose, tanto è uguale. È talmente una sciocchezza che non vale la pena di perderci tempo, però è importante esaminare la matrice comune che collega l’ipermaschilità esibita dai militanti nelle associazioni di estrema destra e la decisione di Filippo Turetta di uccidere la sua ex, colpevole di aver voluto (secondo quanto riportato dal suo interrogatorio) una vita senza di lui.

In superficie, Turetta doveva sembrare gentile. Debole, inoffensivo. Appiccicoso come i bambini, e come i bambini incapace di elaborare il significato di un “no”. Dai verbali degli interrogatori emerge che a quell’ultimo incontro si era presentato con dei regalini, due peluche, un libro per bambini, doni da festa di compleanno delle elementari. Non è mai il caso di psicanalizzare la gente a distanza, ma la testa è andata subito al padre che diceva: la mamma non avrebbe dovuto stirargli la tuta? E la risposta adesso è: no. Forse no. Forse a oltre vent’anni la tuta se la poteva stirare da solo. Forse uno che porta dei peluche in dono all’ex fidanzata ha dei problemi gravi ed evidenti di arresto dello sviluppo emotivo, e qualcuno doveva accorgersene prima. Questo non lo rende infermo di mente: lo rende al limite un uomo non educato alla vita, incapace di avere relazioni adulte, perché tutto intorno a lui ha facilitato la sua permanenza in un’infanzia protratta. Giulia Cecchettin non ne voleva più sapere: lei adulta lo stava diventando, si stava laureando, aveva sogni e desideri che non potevano includere un uomo incapace di crescere, e al quale, tuttavia, stava ancora dando attenzione.

Ho detto “non educato”, e il punto è proprio questo: manca l’educazione alle relazioni, manca tutto, ma soprattutto manca il famoso intervento del gender o delle femministe che dovrebbe essere alla base della scelta della violenza, o forse solo della debolezza, che alla fine mi sembra essere l’unico vero problema dei fascisti. Filippo Turetta gli sembra un bersaglio facile proprio per quella faccia da bambacione inoffensivo. Non è della violenza che hanno paura, è di sembrare dei perdenti. 

Sembrano uomini completamente diversi, i fasci ingrugniti e Filippo Turetta, e invece sono due declinazioni diverse dello stesso genere di maschio e sono spinti dalla stessa necessità: quella di dominare qualcosa o qualcuno. Il fascismo è un’idea politica infantile, basata sulla prepotenza: dà struttura a un bisogno egoista da uomini immaturi, quello di affermare la propria superiorità per mezzo dell’oppressione, se non direttamente dello sterminio, delle soggettività inferiori. Non c’è fascismo al di fuori di questo, del controllo minuzioso della vita delle persone, del rifiuto di ogni dialettica politica e sociale, della cancellazione di ogni esistenza che non rientri nei canoni rigidissimi di un patriarcato soffocante. Fra il fascio tatuato e bellicoso e l’incel che frigna che le donne lo scartano anche se lui è tanto un bravo ragazzo esiste una linea di continuità evidente.

È la stessa fragilità, la stessa necessità di definirsi attraverso il dominio sugli altri, piuttosto che sulla conoscenza profonda di sé stessi. Fra la violenza del frignone e quella del ceffo urlante non c’è alcuna differenza, è sempre violenza, sempre un bisogno bambinesco di dire: questo è mio, qui comando io.

(Giulia Blasi)

 

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