Da uomini sottomessi a uomini liberi
L’Evangelo di Marco ci ha accompagnato in queste settimane dopo il periodo Pasquale e le due feste della Trinità e del Corpus Domini. Nelle ultime due domeniche ci ha fatto riflettere sull’invio dei discepoli in missione e sul loro ritorno. Ora in questo Evangelo avremmo trovato la prima delle due “moltiplicazioni dei pani” (cap 6 e cap 8) ma la Liturgia con coerenza ci propone per 5 Domeniche (fino al 25 agosto) la “Sezione dei Pani” dell’Evangelo di Giovanni. Una riflessione più estesa di quella di Marco (il capitolo 6 di Giovanni è il più lungo: ben 71 versetti), ma che aiuta a comprendere meglio passo a passo il suo significato e si sviluppa sulla traccia del libro dell’Esodo richiamato da 5 temi: il mare, il monte, la Pasqua, la tentazione e il pane. Anche l’invio in missione dei discepoli in Marco due domeniche fa richiamava l’Esodo nelle modalità “ordinate” da Gesù circa l’avere una tunica cinta ai fianchi, i sandali calzati e il bastone in mano per un cammino salvifico non “contro” qualcuno, ma a favore di tutti.
Nell’avvicinarsi al testo di Giovanni è utile prima di tutto sgomberare la mente di tante rappresentazioni che cinema, predicazione e immaginario collettivo che si sono addensate nel tempo. Certo è anche il titolo che a queste pericopi viene dato nella Bibbia ma questo può anche essere un fatto di “comodo” per definire i 6 racconti che si trovano nei quattro Evangeli (Matteo e Marco lo presentano due volte ciascuno) e non ce n’è uno uguale all’altro. Questo evidenzia come il segno posto da Gesù è così carico di messaggi che ogni evangelista ne ha evidenziato alcuni aspetti funzionali agli obiettivi narrativi, pastorali e teologici del suo racconto.
Giovanni inizia segnalando che era vicina la Pasqua e Gesù ha attraversato il “mare” (come Mosè il Mar Rosso seguito da tutto il popolo). “Una grande folla” lo seguiva perché aveva visto i segni che faceva (è il motivo per il quale lo seguivano) ma per lui questo non significa “fede” e perciò “non si fidava di loro” (Gv 2,24). Salito sulla montagna (come Mosè sul Sinài) non rimane insensibile ai bisogni di quella moltitudine che veniva a lui e, mentre durante l’Esodo nel deserto era stato il popolo a chiedere a Dio di essere sfamato, qui è il Signore stesso che ne anticipa la necessità e chiede a Filippo dove sarebbe stato possibile “comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare”. Attenzione che questo interesse non è, come in passi paralleli, una “reazione” da parte di Gesù ma un suo gesto del tutto gratuito che previene la “fame” di chi ha davanti come lo sarà il suo dono della vita sulla croce.
Filippo si arresta sul piano materiale assistenzialista come pure Andrea e segnalano un ragazzo con “cinque pani d’orzo e due pesci”. Gesù allora prende l’iniziativa e lui stesso, in prima persona, prende quel cibo e lo distribuisce rendendo grazie. Tutti si cibano a sazietà e avanza ancora parecchio. Mentre la manna era limitata e misurata qui c’è l’abbondanza. Quando non si trattiene più per sé egoisticamente, ma si condivide generosamente con gli altri c’è dovizia per tutti. La folla coglie correttamente il gesto di Gesù come segno che rivela qualcosa della sua identità profonda (cf. Gv 6,14), ma ne trae conseguenze che lui rigetta. Sapendo che volevano farlo re si ritira (secondo alcuni manoscritti “fugge”) in solitudine sulla montagna. Accettare avrebbe significato stravolgere il suo gesto di donazione in uno scambio commerciale, scendere sulla logica di Filippo, Andrea e quella che per secoli ci è stata indicata del do ut des (se sei buono … se sei cattivo …). Sarebbe stato un entrare nel sistema del “servirsi degli altri” e non del “servire gli altri” abusando della loro gratitudine. Gesù rifiuta di servirsi del miracolo e del potere come strumenti di asservimento dell’uomo; rifiuta il dominio sulla coscienza dell’altro. Per lui non esistono sudditi, ma fratelli.
Non si deve dimenticare che quello che viene proposto è un esodo, un cammino dalla servitù al peccato del mondo, alla libertà del Regno di Dio dove vige la richiesta di alzare gli occhi per vedere il bisogno dell’altro (è questo che fa Gesù) e andargli incontro in modo strutturale, non con l’elemosina.
È pure da notare come l’invito letteralmente è quello di “far sdraiare” (non sedere) i presenti, perché quello era il modo di mangiare delle persone libere che si facevano servire il pasto. Qui l’Evangelista non usa per “uomini” il termine greco “antropous” come aveva fatto prima, bensì “andres” che significa uomini maturi e liberi. In seguito, quando fraintendono e vogliono fare re Gesù, torna il primo termine perché chiedono di essere sottomessi, non desiderano maturità e libertà.
Questa è una domanda che ci viene costantemente posta come singole persone e come comunità nei rapporti al suo interno: il clericalismo dei laici è peggio di quello dei preti.
(BiGio)
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