Non un miracolo ma il "segno" che è l’invito a non rifiutare le regole, il passato (l'acqua nelle brocche), perché Gesù non sostituisce, non cancella nulla ma fa di nuovo fluire l’amore (il vino) che sgorga dall’intera Scrittura
Dopo l’Avvento con il suo richiamo a rimanere sempre attenti alle manifestazioni di Dio nel nostro presente capaci di sorprendersi sempre; dopo che il segno della nascita del Salvatore è stato accolto dai più emarginati (i pastori), compreso da stranieri pagani dal mestiere ambiguo dai quali stare lontani (i maghi); presentato al popolo di Israele nel suo immergersi (battesimo) nella sua storia e nell’indicarci come questa sia segnata dall’intera Scrittura nella quale trovare il senso della nostra vita, oggi la Liturgia ci fa contemplare quello che Giovanni ci indica come “l’inizio dei segni compiuti da Gesù” che, ad una veloce e superficiale lettura, non può non lasciare perplessi. Se non altro perchél’Evangelista, chiudendo le Nozze di Cana commenta “(così) egli manifestò la sua gloria” e, questa annotazione, non comparirà più dopo gli altri sei segni che, a prima vista, appaiono molto più grandi. È un chiaro invito ad andare oltre le apparenze per comprenderne il preciso messaggio e le indicazioni non mancano di certo. Vediamone alcune.
Il quarto Evangelo è parco nel proporci miracoli di Gesù: sono solo sette contro i 20 in Matteo, 18 in Marco e 20 in Luca e, Giovanni, non li chiama miracoli ma “segni”. Questi sono presentati con lo scopo dichiarato in: far credere che “Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e che credendo si abbia vita nel suo nome” (Gv 20:30-31). Infatti l’ultima annotazione dell’episodio di oggi afferma che “i suoi discepoli credettero in lui”.
Innanzitutto in tutto il racconto non c’è un personaggio che abbia un nome tranne Gesù; questo significa che sono figure rappresentative e la sfida che ci viene posta è quella di identificarle. Il brano inizia poi con una annotazione temporale “Il terzo giorno” che, agli ebrei (ma dovrebbe anche a noi assieme alla risurrezione), riporta immediatamente alla mente che il dono della Torà da parte di Dio al popolo di Israele avvenuto il terzo giorno di permanenza di Mosè sul monte.
In seguito i profeti raffigurano l’Alleanza come il matrimonio tra Dio e il popolo dove, quest’ultimo, è la sposa (in ebraico il termine “Israele” riferito al popolo è di genere femminile) e il centro del matrimonio ebraico sta quando i due sposi bevono dal medesimo calice del vino che è segno di gioia, allegria ma soprattutto di amore.
Giovanni ci pone davanti alle Nozze di Cana chiedendoci di leggere in queste il matrimonio tra Dio e il suo popolo dove viene a mancare il vino, cioè l’amore da parte di Israele che si è allontanato non riuscendo a rimanere fedele all’Alleanza conclusa.
Alle nozze c’è pure “la madre di Gesù” che nel IV Evangelo non viene mai nominata con il suo nome proprio (potremmo quindi non conoscerlo nemmeno), è lei che richiama l’attenzione sul fatto che “non hanno più vino”.
Nella sua risposta Gesù chiama la madre “donna”, solo altre due volte userà questo termine, verso la samaritana che è figura una frazione del popolo considerata “adultera” e Maria di Magdala che raffigura la sposa della nuova Alleanza; quindi Maria rappresenta quella sinaitica.
“Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. L’ora a cui tende Gesù nell’Evangelo di Giovanni è il momento nel quale porta a compimento la missione con la sua passione-morte-risurrezione-ascensione. Quindi in altre parole dice alla madre: “A noi ora non interessa questa mancanza d’amore”. Ma Maria non desiste e si rivolge ai servitori sostanzialmente con le medesime parole del popolo sotto al Sinài: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo” (Es 19,8), “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5).
“Vi erano là sei anfore di pietra” che contengono una quantità d’acqua spropositata per quello che doveva servire (le abluzioni prima di mettersi a tavola). Sono sei, un numero che indica imperfezione, cioè l’impossibilità per le regole di svolgere il loro compito. È qui che interviene Gesù non rifiutandole ma facendole diventare la base di una “novità”: il vino buono (l’amore) proviene dall’acqua (le regole) che ora lui rende nuovamente funzionali al fluire dell’amore reciproco nell’Alleanza tra gli sposi (Dio e il Popolo).
Quella carenza di amore diventa il vino migliore come riconosce “colui che dirigeva il banchetto” che della sua mancanza non appare essersene accorto e/o nemmeno preoccupato. Costui rappresenta coloro che “gestivano” il rapporto tra Dio e il suo popolo che, quando è guidato rigidamente solo da regole, diventano di impedimento allo scorrere dell’amore dal Padre al Popolo, dallo Sposo alla Sposa. L’invito allora non è di rifiutare le regole, il passato, perché Gesù non sostituisce, non cancella nulla ma fa di nuovo fluire l’amore che sgorga dall’intera Scrittura. Ce lo ha detto anche il Padre quando ha parlato al Battesimo.
(BiGio)
Bel commento. Interessante che nel IV vangelo si parli della madre di Gesù senza darle un nome.
RispondiEliminaGrazie per questo prezioso servizio di commento alla Parola. Ci aiuta a comprendere il testo e ad apprezzarne il messaggio che diventa preghiera oltre che ascolto