Compiuto con la festa dell’Epifania il cammino di Avvento e Natale come il periodo di attesa e manifestazione al mondo del Figlio di Dio, la Liturgia ci inizia nel Tempo Ordinario attraverso un’altra festa, quella del Battesimo di Gesù. È in questo ritmo consueto che l’avvicendarsi dei diversi periodi ci viene proposto sempre, da una parte, un momento di sintesi, dall’altra un sommarietto che apre uno squarcio sul cammino seguente nel quale saremo accompagnati.
Il “sommarietto” che l’Evangelo di oggi ci propone, lo si trova scoprendo la principale differenza tra le diverse narrazioni del Battesimo di Gesù: solo Luca sottolinea che “ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera”. Non ci viene descritto il battesimo ma, dall’uso dell’imperfetto ci viene sottolineato come questo suo “stare in preghiera” sia un movimento che sussisteva prima e continua dopo l’inizio della sua vita pubblica, una vita totalmente avvolta dall’inizio alla fine nella preghiera. Ci viene chiaramente indicato che in questa Gesù trova la sua identità di Figlio del tutto somigliante al Padre come la risposta alle attese del popolo. Qui c’è già un primo invito per noi ad imitarlo partendo da questa sua propensione.
L’Avvento è stato un continuo porre l’accento sulla necessità di non assopirsi, ma di rimanere vigili, pronti ad accogliere l’iniziativa di Dio. Questo atteggiamento attiva una speranza che non può deludere perché si appoggia alle promesse del Padre: Maria è in attesa come pure Anna e l’intero popolo aspetta la redenzione di Gerusalemme per l’opera del Messia. L’interrogativo che compare se questo potesse essere Giovanni Battista ci mostra come fosse un sentire comune. Certo, oggi sappiamo che l’atteso è Gesù, ma dimentichiamo che aspettiamo il suo ritorno e che il grido che dovrebbe essere sempre sulle nostre labbra è quello che chiude l’Apocalisse: “Maranatha, Vieni Signore Gesù!”.
Se questa fosse la nostra invocazione, anche noi saremmo come Giovanni e la Scrittura che indicano, fanno segno, fanno posto, aprono la via al Regno che viene che, anzi, è già tra di noi. Non ci sarebbe possibile equivocare e ritenerci detentori del messaggio evangelico, avere tutte le sicurezze che abbiamo e poniamo nel nostro agire nel mondo e all’interno della Chiesa. Saremmo invece sulla scia di Gesù che sceglie non la potenza ma la mitezza (come il Prologo di Giovanni ci ha indicato la scorsa Domenica), invitando ad attendere che la messe maturi per non strappare assieme alla zizzania anche il grano buono (Mt 13,30). Bisogna avere pazienza perché il “battesimo in Spirito e fuoco” che è venuto a portarci, non è quello distruttivo che anche il Battista attendeva, ma quello dell’amore che ci fa chinare sul bisogno dell’altro per aiutarlo a risollevarsi e a riprendere il suo cammino. È questo il fuoco che Gesù desidera si accenda, non altro; è questo che il suo Spirito in noi cerca di attivare contro ogni nostra resistenza.
Dopo che gli Angeli hanno manifestato Gesù a quelli che erano considerati gli “scarti umani” di quella terra: i pastori; dopo che il mondo, interpretato dai reietti maghi, una genia dalla quale ci si doveva tenere ben distanti, per di più stranieri e pagani; oggi con la spinta di Giovanni nel Battesimo viene rivelato al popolo di Israele che aveva compreso come il perdono dei peccati non sarebbe avvenuto solo in base a sacrifici nel Tempio, ma che era necessario anche un cambiamento nello stile di vita secondo le indicazioni che il Precursore stesso aveva posto e che a noi sono risuonate nella terza Domenica di Avvento. Avevano capito che, qualunque fosse il tipo di Messia che le diverse correnti teologiche prospettavano, si sarebbe fatto presente attraverso un modo di essere non consolidato dalle tradizioni esistenti. Ecco allora la “specificità” di Gesù che ci viene presentato come uno immerso nella Scrittura, che vive come Parola del Padre rivolta personalmente a lui stesso.
Ecco allora che quel “Tu sei mio figlio” che il Salmo 2 rivolge a Davide, Gesù lo sente rivolto a se stesso: è lui quell’”amato” che richiama l’invito di Dio rivolto ad Abramo a prendere Isacco per sacrificarlo e, quel “In te mi sono compiaciuto”, rievoca il Servo del Signore annunciato da Isaia (42,1). Queste tre citazioni in quella breve frase del Padre rendono presente l’intera Scrittura: i libri sapienziali, il Pentateuco e i profeti. Gesù trova in questa il senso della sua vita ed è un preciso invito a far diventare quella Parola, quel “verbo” che è il “principio”, la stella che guida la nostra vita.
(BiGio)
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