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La guerra, la cultura ebraica, le idee degli altri e il "birur"

La regista e studiosa italo-israeliana Miriam Camerini: «Non ti fanno nemmeno finire la parola “ebraic...” che chiudono le porte». Le opinioni? «Polarizzate e prive di complessità»


Nei giorni scorsi, sui social, Camerini ha scritto un post (che ha generato centinaia di commenti e riflessioni) denunciando il fatto che oggi molti degli enti, organizzazioni e associazioni con cui ha lavorato in passato non vogliono sentire parlare di ciò che propone: musica, teatro, storia e cultura ebraiche. Non ti fanno nemmeno finire la parola “ebraic….”, ha spiegato, che ti dicono: non è il momento.

In realtà sarebbe proprio questo il momento. Come artista che si occupa di cultura ebraica, come ebrea, come italiana, come israeliana, mi sento sballottata da un estremo all’altro: con Israele o con Gaza? Come se si potesse risolvere così. La cosa interessante è che molte delle persone con cui entro in relazione mi dicono di sentirsi sole, senza possibilità di confronto con gli altri, collocati su posizioni estreme e opposte. Se solo mettessimo insieme tutte le solitudini dei tanti che non hanno solo certezze monolitiche, ma che al contrario cercano prima di tutto di comprendere una situazione piena di sfumature, saremmo una moltitudine; se avvicinassimo tutti questi “esili interiori” avremmo una massa critica che potrebbe raccontare la complessità molto oltre il “derby” palestinesi-israeliani....

L'intera intervista ricca di spunti di riflessione è a questo link: 

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/camerini

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