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III Domenica del Tempo Ordinario - Lc 1,1-4;4,14-21

Oggi inizia l’anno di grazia del Signore, la liberazione dei prigionieri”, la salvezza gratuita e senza condizioni. Il termine ebraico usato da Isaia per indicare la liberazione dei prigionieri, è deror che significa: “sciogliere da ciò che impedisce di correre speditamente”



Le ultime due domeniche ci hanno presentato il Battesimo e le Nozze di Cana. In quest’ultima si era notato come Giovanni, guardando la vita di Gesù, inviti a superare la dialettica tra “promessa e compimento” e, invece, far nostra quella tra “continuità e novità” o, meglio, la novità nella continuità. La “novità” che Gesù porta si innesta nella “continuità”, nell’Alleanza stretta da Dio con il popolo d’Israele. Nessuna sostituzione e ci si riallaccia a quell’espressione del Padre al Battesimo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” che racchiude in sé tutta la Scrittura che ci è chiesto di far nostra e, in questa, trovare il senso della nostra vita.

 

Oggi si riprende l’Evangelo di Luca che ci accompagna lungo questo anno liturgico e incontriamo Gesù che, tornato a casa sua (“nella sua patria”) in Galilea, vive “secondo il suo solito”, secondo i ritmi appresi durante la sua crescita. Non si parla della sua vita quotidiana, di incontri con conoscenti o amici d’infanzia ma del suo recarsi il sabato nella Sinagoga, il luogo dove risuona e si studia la Torà, dove si nutre il proprio rapporto con Dio in quella dimensione di relazionalità che è solennemente proclamata fin dall’incipit del Decalogo.

Già nel Battesimo secondo Luca si è notato come il centro sia la relazione che Gesù, immerso nella preghiera, aveva con il Padre e come viva la Parola nell’essere e nell’agire di ogni giorno. Tale è la sua familiarità con le Scritture che, quando proclama la profezia di Isaia, la percepisce non solo come rivolta a se stesso, ma che parli di lui stesso. Paolo nella lettera agli Ebrei (10, 6-7) scrive: “Per questo entrando nel mondo Cristo dice: tu non hai voluto nel sacrificio ne offerta, un corpo invece mi hai preparato (…) allora ho detto: ecco io vengo poiché di me sta scritto nel rotolo del libroper fare o Dio la tua volontà “.

Con questo torna l’invito a noi di frequentare come lui le Scritture fino a farle diventare quel nostro pane quotidiano capace di farci partecipi della sua vita, del suo modo d’essere, di esistere e fare, rendendola parola vivente. Nella nostra liturgia proclamare la Parola significa darle corpo attraverso il nostro agire; significa essere resi presenti al momento in cui si è avverata, per renderla viva nel nostro quotidiano nelle forme che questo chiede. Ci è chiesto di farla uscire dalla ripetitività, dalla consuetudine di un gesto liturgico che finisce per essere fine a se stesso e per questo inerte, morto, privo dello Spirito che vivifica ogni essere vivente che manda a proclamare “oggi” il lieto annuncio che è la misericordia di Dio. Oggi, non ieri o domani, oggi e questo oggi è il nostro momento presente.

L’Evangelo di oggi è l’ouverture dell’opera di Luca, la sintesi di tutta l’attività di Gesù in completa sintonia con quelle ascoltate le settimane precedenti lungo il tempo di Natale, quasi un’altra faccia di quel prisma prezioso che è la presenza di Dio nel suo creato e ci dice che ha scritto questo testo “per te Teofilo”. Questo nome significa “amico di Dio” e lo sono tutti coloro che si impegnano a realizzarne l’opera affidata che troviamo subito dopo e che è una citazione di Isaia. Il testo della nostra traduzione dice che Gesù la “trovò” nel rotolo che gli era stato dato, ma letteralmente il verbo greco significa “cercò”. C’è una ricerca nella Scrittura che non è scegliere arbitrariamente un brano piuttosto che un altro; è l’invito a “scavarci” dentro per trovarci il senso della nostra vita. La sapienza ebraica afferma che il significato delle Scritture per ciascuno di noi va cercato nello spazio bianco che c’è tra una lettera e l’altra per poi gridare come Archimede “eureka!”, “ho trovato!” che è la radice greca del verbo cercare.

Gesù non commenta, ne proclama la realizzazione della profezia di Isaia ma sottolinea che “Oggi inizia l’anno di grazia del Signore, la liberazione dei prigionieri”, la salvezza gratuita e senza condizioni. Il termine ebraico usato da Isaia per indicare la liberazione dei prigionieri, è deror che significa: “sciogliere da ciò che impedisce di correre speditamente”. In altri termini “oggi” la parola di Gesù comincia a stemperare fino alla loro dissoluzione tutto ciò che è sotto il segno di una diminuzione di vita, tutti i blocchi psicologici e morali che rattrappiscono, non permettono di avanzare e di crescere; il groviglio di passioni incontrollate che fanno ripiegare su se stessi nella ricerca del proprio tornaconto, la sete di possesso, la frenesia del potere e del successo che inibiscono la possibilità di guardare e di chinarsi sul bisogno dell’altro. Questi i ceppi che ci tengono incatenati “oggi cominciano ad essere frantumati da quella forza irresistibile che è lo Spirito Santo. Ce ne accorgiamo quando teniamo gli occhi “fissi” sul Signore come coloro che erano in quella Sinagoga.

(BiGio)

 

 

 

 

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