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Giovani e salute mentale: il limbo della gioventù
Dalla parte delle bambine
Ai Referenti del Cammino sinodale. Papa Francesco: Chiesa sia aperta e "inquieta"
Le tre "consegne" ai partecipanti all’Incontro Nazionale dei Referenti diocesani del Cammino Sinodale Italiano ricevuti in udienza giovedì scorso nell’Aula Paolo VI
Nella Domenica di Pentecoste abbiamo pregato così ....
Oggi è Pentecoste una festa che viene da lontano: per gli Ebrei (che hanno terminato di celebrarla ieri) è la festa delle primizie e del dono della Torà; per noi cristiani dello Spirito Santo. prima al centro erano le primizie del raccolto per le quali ringraziavano Dio di averle donate, oggi invece ricordano il dono della Torà. I cristiani fanno memoria del dono dello Spirito.
Con questa festa giungiamo giunti al termine del periodo pasquale nel quale la Liturgia ci ha accompagnato a scoprire, in quella degli apostoli e dei discepoli contemporanei di Gesù, la nostra possibilità di fare esperienza del Risorto. Non certo attraverso apparizioni o cristofanie, ma in una sua presenza discreta e silenziosa che accompagna per tutti i giorni, nessuno escluso, noi e la realtà inadeguate nelle nostre comunità, dubbiose e incerte. È la modalità che, fin dall’Annunciazione, ci era stata detta: Lui è “il Dio con noi tutti i giorni fino alla fine del tempo” che ci affianca e ci sostiene nella missione che ci ha affidato.
Giovanni, nel suo racconto, ci fa tornare alla “sera di quel giorno, il primo della settimana” nel quale Gesù ha sconfitto con la sua morte la morte e ci ha donato la vita. Tre sono i momenti nei quali articola il racconto di quella sera e tre le consegne che Gesù ci fa donandoci la sua presenza (la “Pace”) e lo Spirito Santo: dare continuità alla sua missione, essere uomini nuovi, cancellare il peccato, il male dal mondo.
Intenzioni Penitenziali
Signore Gesù, ti ci doni la Pace, cioè la tua presenza al nostro fianco ogni giorno ma noi non siamo capaci di accoglierla
– Kyrie Eleison
Cristo Gesù, tu ci chiedi di continuare la missione che il Padre ti ha affidato, noi ci defiliamo sottraendoci a questa tua consegna
– Christe Eleison
Signore Gesù, tu ci doni la possibilità di essere uomini nuovi attraverso il dono del tuo Spirito, ma noi troviamo più comodo rimanere rinchiusi nelle nostre sicurezze
– Kyrie Eleison
Preghiere dei fedeli
Padre, che hai inviato tuo Figlio a riconciliare il mondo con te, aiutaci a comprendere che il Signore Risorto ha esteso a noi la missione che gli hai affidato e donaci la capacità di trovare le modalità per risolvere i conflitti di ogni genere e tutto ciò che si frappone tra la realtà degli uomini e la tua misericordia. Padre, aiutaci:
Signore Gesù tu “vieni e stai” in mezzo a noi tutti i giorni, aiutaci ad accogliere la tua presenza sempre con gioia in particolar mondo seguendo il suo esempio di farsi prossimo ai poveri, a chi è in difficoltà, a chi ha perso tutto negli eventi atmosferici estremi di queste settimane, a chi soffre, a chi non ha casa.Signore Gesù, aiutaci:
Spirito Santo, che ci rendi uomini nuovi capaci di amare come tuo Figlio ci ha amato fino al dono della propria vita per noi, aiutaci a saper accorgerci dei semi di risurrezione che tu fai germogliare, di prendercene cura e farli crescere in ogni realtà umana, qualsiasi questa sia. Spirito Santo, aiutaci:
Signore Risorto, ci hai reso una Comunità, fa che sappiamo portare a termine l’invito del Papa di diventare una vera fraternità e di riuscire ad essere sempre più corresponsabili nella tua Chiesa uscendo dalle nostre comode deleghe, facendo fruttare i nostri carismi, dando e prendendo ruolo uomini e donne assieme. Signore Risorto, aiutaci:
Gv 20,19-23 – Pentecoste: il compimento delle promesse.
Tre sono i momenti nei quali Giovanni articola il racconto della sera della risurrezione e tre le consegne che il Risorto ci fa donandoci la sua presenza (la “Pace”) e lo Spirito Santo: dare continuità alla sua missione, essere uomini nuovi, cancellare il peccato, il male dal mondo donando tutto: per-donando
Siamo giunti al termine del periodo pasquale nel quale la Liturgia ci ha accompagnato a scoprire, in quella degli apostoli e dei discepoli contemporanei di Gesù, la nostra possibilità di fare esperienza del Risorto. Non certo attraverso apparizioni o cristofanie, ma in una sua presenza discreta e silenziosa che accompagna per tutti i giorni, nessuno escluso, noi e la realtà inadeguate nelle nostre comunità monche, dubbiose, divise e incerte. È la modalità che, fin dall’Annunciazione, ci era stata detta: Lui è “il Dio con noi tutti i giorni fino alla fine del tempo” che ci affianca e ci sostiene nella missione che ci ha affidato: annunciare il Regno di Dio che cancella il peccato dal mondo attraverso la misericordia.
Oggi Giovanni ci fa tornare alla “sera di quel giorno, il primo della settimana” nel quale Gesù ha sconfitto con la sua morte la morte e ci ha donato la vita. Tre sono i momenti nei quali articola il racconto di quella sera: l’iniziativa è di Gesù che si fa riconoscere dai discepoli e affida loro una missione. Tutto accade a Gerusalemme in un luogo imprecisato ma l’importante è che viene sottolineato il carattere comunitario, ecclesiale dell’apparizione che avviene non solo agli Apostoli, altrimenti sarebbe stato detto, ma a tutti i discepoli. Sono la nostra immagine, quasi un identikit: ripiegati su sé stessi, percepiscono una minaccia che incombe su di loro, hanno paura di uscire fuori dal luogo nel quale si pensano al sicuro, arrivano ad essere angosciati al pensiero di doversi manifestare.
Anche se l’aveva loro annunciato nel suo primo discorso di addio “vengo – verrò – a voi”, accade l’inaspettato: “Gesù venne e stette in piedi in mezzo a loro”; la sua posizione eretta evoca il trionfo sulla morte che lo aveva visto deposto, disteso in un sepolcro e il verbo usato indica proprio la risurrezione.
Questo “venire” improvviso e “stare in mezzo” vuole renderci cosciente che oramai Gesù può rendersi presente a noi quando vuole, raggiungendoci in ogni circostanza e non, come abbiamo già sottolineato le scorse domeniche per augurarci, ma per donarci effettivamente la pace cioè lo Shalom, la sua presenza tra di noi, che è la fonte della riconciliazione tra il mondo ed il Padre attraverso il dono gratuito della vita per amore: per questo mostra i segni della sua passione.
L’angoscia e lo stupore incredulo svaniscono in un istante e i discepoli furono pieni di gioia nel riconoscerlo ed averlo di nuovo con loro; questo avviene guardando le sue mani bucate e il suo costato trafitto, cioè i segni del suo essersi donato per noi alla morte sulla croce per amore.
A differenza di quanto appare negli altri evangeli, in Giovanni il riconoscimento è immediato e senza riserve, supera il dato sensibile spostandosi su quello del “vedere”, cioè dell’esperienza nella pienezza della fede. Si avverano tutte le sue promesse fatte da Gesù nei discorsi di addio: “voi mi vedrete perché io vivo ed anche voi vivrete (…) e la vostra gioia sarà piena”.
Gesù, donando di nuovo la pace, dà ai discepoli tre consegne; la prima: “come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” a prima vista questa traduzione può dare l’impressione di trovarci davanti a due azioni separate di invio, mentre c’è una precisa continuità di una unica missione: Gesù estende ai discepoli, a noi, la sua missione che gli ha affidato il Padre, coinvolgendoci direttamente. Tanto è vero che il verbo in greco è coniugato in una forma che connota una azione che non ha termine e continua all’infinito attraverso tutti coloro che si porranno alla sua sequela e non saranno mai soli. Questo coinvolge tutti i discepoli, tutti i credenti e non solo a coloro che in seguito avranno il ministero presbiteriale nella Chiesa.
Poi: “Detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo” è una vera e propria nuova creazione dell’uomo. Lo si capisce dal fatto che il verbo utilizzato in tutte le Scritture cristiane compare solo qui, ed è il medesimo che si trova in Genesi 2,7 (“Dio plasmò l’uomo e alitò nelle narici un alito di vita”). Non è allora un dono particolare fatto agli apostoli e ai presenti in quell’unica occasione, ma a tutti i discepoli, a tutti i discepoli, a tutti i credenti di tutti i tempi.
Infine Gesù, rivolgendosi a tutti i discepoli presenti e futuri, aggiunge: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” ponendo un principio senza precisarne le modalità dell’esercizio concreto (vedi apposito post: https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/05/a-chi-rimetterete-i-peccati.html), che nei secoli ogni confessione cristiana ha sviluppato in termini diversi.
Che significa “rimettere i peccati?” Queste parole sono state interpretate – in modo giusto, ma riduttivo – come il conferimento agli apostoli del potere di assolvere dai peccati. Non è questo però l’unico modo per rimettere, cioè, per neutralizzare, per sconfiggere il peccato. La potestà conferita da Gesù è molto più ampia e riguarda tutti i discepoli che sono animati dal suo Spirito: è quella di purificare il mondo da ogni forma di male.
Va posta attenzione anche al fatto che i poteri non sono due – rimettere o ritenere – a discrezione del confessore che valuta caso per caso. Il potere è uno solo, quello di annientare, in tutti i modi, il peccato. Ma questo può anche essere non rimesso nel caso in cui il discepolo non si impegna a creare le condizioni affinché tutti aprano il cuore all’azione dello Spirito.
L’apparizione ai discepoli del Vivente alla sera del giorno della risurrezione, apre una nuova era: grazie al dono della Pace e alla trasmissione dello Spirito, la comunità diventa portatrice di vita per il mondo e, attraverso di essa, si attualizza la presenza del Signore che ha trionfato sulla morte. Il compito ora è nostro.
(BiGio)
Come all’Ascensione qui non si tratta di “starsene a guardare il cielo”
Se il nostro amore si raffredda o diventa evanescente, anche lo Spirito infuso in noi, che pure è fuoco, si raffredda e diventa evanescente. Possiamo riceverlo continuamente come dono nella misura in cui lo ridoniamo agli altri, come amore e come perdono.
Non è solo uno dei racconti di apparizione, ma è forse meglio dire di esperienza del Risorto, ci viene narrata la gioia (e la fatica) che quell’esperienza comporta e la trasformazione che suscita nella vita dei discepoli. Gesù viene e sta in mezzo ai discepoli, in mezzo alla comunità dei fratelli. Dona la pace promessa, lo shalom, e dona, anzi “insuffla” (come Dio al momento della creazione di Adamo) il suo Spirito santo, che è Spirito datore di vita, che ci comunica la sua vita di Risorto.
L’esperienza pasquale è chiamata a diventare esistenza pasquale. Facile a dirsi ma assai difficile da praticare, lo sappiamo. E allora chiediamoci, come abbiamo già fatto in quaresima (in fondo quaresima e tempo pasquale sono intimamente legati nell’unico mistero): che cosa può dare una svolta decisiva alla nostra vita di uomini e di credenti? Che cosa può convertirci alla novità di vita che il Signore ci dona? Secondo l’evangelista Giovanni la risposta è innanzitutto una: contemplare la nuda verità dell’amore di Dio svelato in Gesù può convertirci. Non c’è altra possibilità di conversione se non il “volgere lo sguardo a colui che abbiamo trafitto” (Zc 12,10; Gv 19,37), come dice la Scrittura.
Nella nostra scena in fondo l’evangelista non fa che raccontarci di nuovo la scena già narrata al momento della morte di Gesù. Là, innalzato da terra sulla croce, Gesù attirava gli sguardi (cf. Gv 12,32) e dal suo fianco trafitto fluivano sangue e acqua (cf. Gv 19,34-37), simbolo della sua vita donata e dello Spirito consegnato ai credenti (cf. Gv 7,39). Qui Gesù, ormai innalzato come risorto, svela la gloria nascosta nella sua morte ignominiosa e attira ancora gli sguardi timorosi sulle sue ferite, sul suo fianco trafitto, e di nuovo (questa volta in modo verbale ed esplicito) dona lo Spirito, lo infonde nei credenti, perché vedano in quelle ferite inferte dal peccato umano il segno del suo amore e del suo perdono.
I discepoli, nel momento stesso in cui vedono i segni che ricordano il loro peccato (anche loro avevano abbandonato il Signore alla sua morte) si vedono abbracciati dall’amore di Dio. Ecco la vera conversione! In essa, proprio la coscienza di aver ferito, “trafitto” l’amore di Dio ci ferisce, ci trafigge, ma è una ferita che non uccide, anzi dona vita, apre alla gioia. È questo che la tradizione cristiana chiama “compunzione” (cioè trafittura), una delle poche vere esperienze salvifiche (pasquali) che qui sulla terra ci è dato di fare.
Gesù come sulla croce, così nella sua resurrezione, attira a sé. Ma questa attrazione non seduce, non sequestra dalla vita, ma piuttosto libera, comunica vita. Comunica la sua pace, la sua gioia, il suo Spirito, che abbatte le nostre porte chiuse e ci fa passare “dalla morte alla vita” (Gv 5,24; 1Gv 3,14) aderendo alla sua vita.
Il cammino pasquale di conversione non ci lascia in una meraviglia paralizzante e fuori del tempo: come all’Ascensione qui non si tratta di “starsene a guardare il cielo” (cf. At 1,11) dove Gesù è stato innalzato, ma di far tesoro dello sguardo trasformato da quella visione per volgerlo sui fratelli con rinnovata fiducia e misericordia.
Gesù anche qui infatti ci rimanda ai fratelli: “Come il Padre ha mandato me così io mando voi” (v. 21), versetto che nella sua stessa struttura richiama il comandamento nuovo: “Come io vi ho amati, così anche voi amatevi gli uni gli altri” (Gv 13,34). E sappiamo che in Giovanni il Figlio è stato inviato nel mondo proprio per rivelare l’amore del Padre (cf. 1Gv 1,18; 13,16). Solo l’amore e la misericordia che manifestiamo agli altri possono manifestare lo Spirito del Risorto infuso in noi.
“Ricevete lo Spirito santo: a chi perdonerete i peccati saranno perdonati e a chi non li rimetterete, non saranno perdonati” (v. 23). Lo Spirito rende praticabili l’amore e la misericordia, ma rimane in noi nella misura in cui li pratichiamo effettivamente. Se il nostro amore si raffredda o diventa evanescente, anche lo Spirito infuso in noi, che pure è fuoco, si raffredda e diventa evanescente. Possiamo riceverlo continuamente come dono nella misura in cui lo ridoniamo agli altri, come amore e come perdono.
(fr Luigi di Bose)
A chi rimetterete i peccati ...
La formulazione conservata da Giovanni rende esplicito, più di testi paralleli in Matteo Luca e Marco, il potere sui peccati trasmesso ai discepoli, senza tuttavia dire come questo debba essere esercitato. Perciò il versetto è stato origine di controversie vivaci sin dall’antichità, ma soprattutto dopo la Riforma.
D’un tratto Gesù aggiunge: “A chi rimetterete i peccati, saranno loro rimessi; a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi.”
Di primo acchito tale parola sorprende, perché la “remissione dei peccati” non è stata ricordata in precedenza nel quarto vangelo, in cui il termine “peccato” di solito è usato al singolare, indicando il rifiuto di credere nel Figlio e non in questa o in quella trasgressione. (…).
La formulazione conservata da Giovanni rende esplicito, più di testi paralleli in Matteo Luca e Marco, il potere sui peccati trasmesso ai discepoli, senza tuttavia dire come questo debba essere esercitato. Perciò il versetto è stato origine di controversie vivaci sin dall’antichità, ma soprattutto dopo la Riforma. Riguarda i peccati commessi prima del battesimo, o anche (oppure soltanto) quelli commessi dopo? Non si tratterebbe semplicemente del dovere di predicare il Vangelo in vista della conversione? I discepoli riuniti rappresentano la comunità cristiana nel suo insieme o esclusivamente i ministri della Chiesa? Il sacramento della penitenza, la cui pratica si è venuta precisando nel corso di una lunga evoluzione, trova qui il suo fondamento scritturistico? Queste domande, anche se legittime, rischiano di oscurare l’orizzonte della Parola che, come in Matteo 26,28 è molto più vasta. Essa afferma infatti l’abolizione del peccato nel mondo, che doveva caratterizzare l’Alleanza definitiva e che è stata resa possibile dalla fedeltà di Gesù al Padre.
Come le due parole che la precedono, la dichiarazione del versetto 23 riguardo alla situazione del tutto nuova che la vittoria del Figlio sulla morte ha prodotto: la salvezza divina a prevalso sulla tenebra e raggiunge oramai ogni uomo, attraverso la mediazione dei discepoli.
Nel contesto giovanneo, è Gesù stesso che attraverso i suoi eserciti al ministero del perdono (14,12. 20). La formulazione impositivo in negativo proviene dallo stile semitico che esprime la totalità mediante una coppia di contrari come per esempio “luce/tenebre”, “felicità/infelicità” esprimono il campo illimitato dell’azione del Padre (Isaia 45,7); “uscire/entrare” significa l’intera libertà di condotta (1 Samuele 29,6; Gv 10,9), “legare/slegare” i pieni poteri (Mt 18,18).
“Rimettere/trattenere” indica qui la totalità del potere misericordioso trasmesso dal risorto ai discepoli. L’espressione passiva, che dice l’effetto ottenuto, implica che Dio è l’autore del perdono; l’uso del tempo perfetto significa che il perdono è definitivo. Si potrebbe parafrasare: “nel momento in cui la comunità perdona, è Dio stesso che perdona”.
Xavier Léon-Dufour, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, pag. 1187
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Nel giorno in cui si apre l'Assemblea della Cei l'Associazione e la Rete dei Viandanti rendono noto in un documento il loro punto di vista sull'andamento del cammino sinodale italiano. In particolare lamentano che "la mancanza di un obiettivo ben definito abbia già depotenziato la partecipazione in questo secondo anno che sta per concludersi." Propongono come meta conclusiva un'assemblea sinodale che prenda decisioni su alcune questioni ritenute cruciali (ministerialità, liturgia, ruolo delle donne, abusi...). Senza paure di eventuali conflitti da gestire in modo costruttivo.
Il Cammino sinodale della Chiesa italiana giunto quasi alla metà del suo percorso ci sollecita ad alcune considerazioni di prospettiva.
1. La Sintesi nazionale della fase diocesana (agosto 2022), che ha dato conto della consultazione capillare in funzione del Sinodo della Chiesa universale (2023-2024), ci ha fornito un quadro seppure sintetico dei “nodi pastorali concreti” che riguardano le Chiese che sono in Italia.
2. La Sintesi ha fatto prendere coscienza, di “alcune annose questioni che affaticano il passo” delle nostre Chiese. Ne richiamiamo alcune che ci paiono di grande importanza: lo scollamento tra la pastorale e la vita reale; la formazione dei presbiteri; la necessità di rivitalizzare gli organismi di partecipazione; il superamento di una Chiesa costruita intorno al ministero ordinato per andare verso una Chiesa “tutta ministeriale”; gli abusi sessuali e di coscienza; rimettere al centro la Parola; la vita liturgica (omiletica, registro linguistico e gestuale, distanza celebrazione vita, …), la trasparenza amministrativa, la marginalità dei laici e in particolare delle donne.
3. Di fronte a questa mole di questioni la proposta dei Cantieri di Betania, pur configurandosi come un’icona significativa, è stata molttoo sfuocata e riteniamo non abbia favorito i necessari approfondimenti per operare un discernimento tra i molti nodi emersi dalla consultazione del primo anno. La consegna di “delimitare”, “approfondire” e “costruire” in un certo senso è stata in contraddizione con il mantenimento del metodo della “conversazione spirituale”, di qualche utilità nel primo anno, ma scarsamente utilizzabile per le tre azioni indicate che richiedevano analisi, valutazione critica e capacità di scelta consapevole.
4. Per il triennio che ci rimane da percorrere riteniamo che sarebbe utile superare la modalità del work in progress per definire la meta a cui pervenire nel 2025 e le questioni che si dovrebbero affrontare e sulle quali proseguire il confronto. La mancanza di un obiettivo ben definito, infatti, ha già depotenziato la partecipazione in questo secondo anno che sta per concludersi. ....
L'intero documento con le sue proposte a questo link:
https://www.viandanti.org/website/considerazioni-sul-cammino-sinodale-della-chiesa-italiana/
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Il convegno ha ricevuto un messaggio del cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI (cf. qui su Settimana News), in cui il porporato sottolinea due aspetti: interrogarsi «seriamente sui problemi che pone la distanza tra le indicazioni del magistero della Chiesa circa la generazione della vita e il vissuto quotidiano della società in generale, ma anche dei cattolici stessi». E «non dobbiamo favorire la logica sterile degli schieramenti, facilmente e indebitamente amplificata dagli organi di stampa».
Ad aprire i lavori è stato il cardinale Luis Ladaria, prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, che ha parlato in toni solo positivi dell’enciclica a 55 anni dalla pubblicazione (1968). Il coraggio dell’Humanae vitae, per il cardinale, è di «carattere antropologico» perché ha mostrato «la connessione inscindibile» che Dio ha voluto tra il significato unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale.
Mons. Paglia con toni molto diversi da quelli del cardinale e più vicini al presidente della CEI, prima di tutto invita a proseguire nella riflessione teologica sulle questioni poste dal documento e a collocarne la lettura nel contesto più ampio del magistero di papa Francesco: «Penso che questa enciclica vada letta, oggi, nella sua attualità, che riguarda la generatività dei rapporti umani».
In un secondo, importante passaggio, afferma: «Negli anni sessanta la “pillola” sembrava il male assoluto. Oggi abbiamo sfide ancora più forti: la vita dell’intera umanità è a rischio se non si ferma la spirale dei conflitti, delle armi, se non si disinnesca la distruzione dell’ambiente. Vorrei ci fosse una lettura che integri Humanae vitae con le encicliche di papa Francesco (e di Giovanni Paolo II) e con Amoris laetitia, per aprire una nuova epoca di umanesimo integrale». Abbandonando, quindi, letture parziali perché la sfida della tutela e dello sviluppo, della vita umana, va posta a tutto campo, come ci insegnano Laudato si’ e Fratelli tutti.
L'intero servizio a cura di Lorenzo Prezzi a questo link:
La “mistica teatrale” di un’incoronazione
Jenkins ammette che sarebbe stato anacronistico anche fare a meno di un qualsiasi rito di investitura del nuovo re, ma gli altri monarchi europei vengono formalmente riconosciuti dai loro parlamenti democratici, non da una Established Curch. La Church of England, fra l’altro, non rappresenta più un’intera popolazione, di cui solo un’esigua minoranza avrà potuto comprendere parole e gesti nei quali, certamente, non intendeva più identificarsi. Se si voleva fosse il potere di Dio, non il parlamento, a legittimare l’autorità del re, Jenkins rammentava al lettore che, per aver preteso questo, il 30 gennaio 1649, re Carlo I aveva perso la testa. La sola parola comprensibile e condivisibile da tutti, «che il re e il principe William hanno invocato così spesso da sembrare agenti di marketing alla presentazione di un nuovo marchio», è stata «servizio».
Se allora non ci si attende che Carlo III faccia da Madre Teresa della Gran Bretagna, si auspica almeno che egli cominci a «servire» il suo popolo, aprendo ai londinesi i cancelli del giardino di Buckingam Palace, 16 splendidi ettari di verde, per farne un parco pubblico. ...
L'intera riflessione di Severino Dianich a questo link:
http://www.settimananews.it/liturgia/la-mistica-teatrale-di-una-incoronazione/
Fotocronaca di due giorni intensi ...
Sabato pomeriggio
Nell'occasione è stata consegnata ufficialmente la cittadinanza italiana a Emdad Mazumder da parte del Presidente della Municipalità di Marghera
Presentazione del libro
La Comunità della Resurrezione di Marghera: oltre mezzo secolo di vita"
Domenica mattina: il pranzo comunitario condiviso