Gv 20,19-23 – Pentecoste: il compimento delle promesse.

 Tre sono i momenti nei quali Giovanni articola il racconto della sera della risurrezione e tre le consegne che il Risorto ci fa donandoci la sua presenza (la “Pace”) e lo Spirito Santo: dare continuità alla sua missione, essere uomini nuovi, cancellare il peccato, il male dal mondo donando tutto: per-donando

 

Siamo giunti al termine del periodo pasquale nel quale la Liturgia ci ha accompagnato a scoprire, in quella degli apostoli e dei discepoli contemporanei di Gesù, la nostra possibilità di fare esperienza del Risorto. Non certo attraverso apparizioni o cristofanie, ma in una sua presenza discreta e silenziosa che accompagna per tutti i giorni, nessuno escluso, noi e la realtà inadeguate nelle nostre comunità monche, dubbiose, divise e incerte. È la modalità che, fin dall’Annunciazione, ci era stata detta: Lui è “il Dio con noi tutti i giorni fino alla fine del tempo” che ci affianca e ci sostiene nella missione che ci ha affidato: annunciare il Regno di Dio che cancella il peccato dal mondo attraverso la misericordia. 


Oggi Giovanni ci fa tornare alla “sera di quel giorno, il primo della settimana” nel quale Gesù ha sconfitto con la sua morte la morte e ci ha donato la vita. Tre sono i momenti nei quali articola il racconto di quella sera: l’iniziativa è di Gesù che si fa riconoscere dai discepoli e affida loro una missione. Tutto accade a Gerusalemme in un luogo imprecisato ma l’importante è che viene sottolineato il carattere comunitario, ecclesiale dell’apparizione che avviene non solo agli Apostoli, altrimenti sarebbe stato detto, ma a tutti i discepoli. Sono la nostra immagine, quasi un identikit: ripiegati su sé stessi, percepiscono una minaccia che incombe su di loro, hanno paura di uscire fuori dal luogo nel quale si pensano al sicuro, arrivano ad essere angosciati al pensiero di doversi manifestare.

Anche se l’aveva loro annunciato nel suo primo discorso di addio “vengo – verrò – a voi”, accade l’inaspettato: “Gesù venne e stette in piedi in mezzo a loro”; la sua posizione eretta evoca il trionfo sulla morte che lo aveva visto deposto, disteso in un sepolcro e il verbo usato indica proprio la risurrezione.

Questo “venire” improvviso e “stare in mezzo” vuole renderci cosciente che oramai Gesù può rendersi presente a noi quando vuole, raggiungendoci in ogni circostanza e non, come abbiamo già sottolineato le scorse domeniche per augurarci, ma per donarci effettivamente la pace cioè lo Shalom, la sua presenza tra di noi, che è la fonte della riconciliazione tra il mondo ed il Padre attraverso il dono gratuito della vita per amore: per questo mostra i segni della sua passione.

L’angoscia e lo stupore incredulo svaniscono in un istante e i discepoli furono pieni di gioia nel riconoscerlo ed averlo di nuovo con loro; questo avviene guardando le sue mani bucate e il suo costato trafitto, cioè i segni del suo essersi donato per noi alla morte sulla croce per amore.

A differenza di quanto appare negli altri evangeli, in Giovanni il riconoscimento è immediato e senza riserve, supera il dato sensibile spostandosi su quello del “vedere”, cioè dell’esperienza nella pienezza della fede. Si avverano tutte le sue promesse fatte da Gesù nei discorsi di addio: “voi mi vedrete perché io vivo ed anche voi vivrete (…) la vostra gioia sarà piena”.

 

Gesù, donando di nuovo la pace, dà ai discepoli tre consegne; la prima: “come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” a prima vista questa traduzione può dare l’impressione di trovarci davanti a due azioni separate di invio, mentre c’è una precisa continuità di una unica missione: Gesù estende ai discepoli, a noi, la sua missione che gli ha affidato il Padre, coinvolgendoci direttamente. Tanto è vero che il verbo in greco è coniugato in una forma che connota una azione che non ha termine e continua all’infinito attraverso tutti coloro che si porranno alla sua sequela e non saranno mai soli. Questo coinvolge tutti i discepoli, tutti i credenti e non solo a coloro che in seguito avranno il ministero presbiteriale nella Chiesa.

Poi: “Detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo” è una vera e propria nuova creazione dell’uomo. Lo si capisce dal fatto che il verbo utilizzato in tutte le Scritture cristiane compare solo qui, ed è il medesimo che si trova in Genesi 2,7 (“Dio plasmò l’uomo e alitò nelle narici un alito di vita”). Non è allora un dono particolare fatto agli apostoli e ai presenti in quell’unica occasione, ma a tutti i discepoli, a tutti i discepoli, a tutti i credenti di tutti i tempi.

Infine Gesù, rivolgendosi a tutti i discepoli presenti e futuri, aggiunge: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” ponendo un principio senza precisarne le modalità dell’esercizio concreto (vedi apposito post: https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/05/a-chi-rimetterete-i-peccati.html), che nei secoli ogni confessione cristiana ha sviluppato in termini diversi.

Che significa “rimettere i peccati?” Queste parole sono state interpretate – in modo giusto, ma riduttivo – come il conferimento agli apostoli del potere di assolvere dai peccati. Non è questo però l’unico modo per rimettere, cioè, per neutralizzare, per sconfiggere il peccato. La potestà conferita da Gesù è molto più ampia e riguarda tutti i discepoli che sono animati dal suo Spirito: è quella di purificare il mondo da ogni forma di male.

Va posta attenzione anche al fatto che i poteri non sono due – rimettere o ritenere – a discrezione del confessore che valuta caso per caso. Il potere è uno solo, quello di annientare, in tutti i modi, il peccato. Ma questo può anche essere non rimesso nel caso in cui il discepolo non si impegna a creare le condizioni affinché tutti aprano il cuore all’azione dello Spirito.

 

L’apparizione ai discepoli del Vivente alla sera del giorno della risurrezione, apre una nuova era: grazie al dono della Pace e alla trasmissione dello Spirito, la comunità diventa portatrice di vita per il mondo e, attraverso di essa, si attualizza la presenza del Signore che ha trionfato sulla morte. Il compito ora è nostro.

(BiGio)

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