Gli uomini non sono chiamati a obbedire a Dio, ma a somigliargli amando gli altri nelle diversissime situazioni nelle quali ci si trova ad essere il suo sguardo che sa farsi compassione, la sua mano che sa accarezzare, la sua bocca che sa sorreggere ed incoraggiare.
Domenica scorsa l’Evangelo si era chiuso con Gesù che diceva: “chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre”.
Non significa certo che i credenti faranno miracoli più grandi dei “segni” fatti da Gesù che manifestavano, sotto differenti angolature, l’unica opera del Padre: il dono al mondo della vita eterna e rendevano visibile la salvezza offerta, provocando i testimoni a riconoscerla presente. Il comparativo “più grandi” non esprime una differenza quantitativa o qualitativa, ma un suo nuovo, diverso aspetto. In questo modo Gesù dona ai discepoli di partecipare alla sua missione configurandoli (noi con loro), alla sua esistenza e in un compito che spesso pare essere più grande delle nostre possibilità. Per questo in tutta la Scrittura ogni missione affidata da Dio a una persona o a un gruppo, è sempre seguita dall’assicurazione dell’aiuto divino. Ecco perché in questi “discorsi d’addio” fa da ritornello quel “Io sono (sarò) con te (con voi) per sempre fino alla fine dei giorni (Mt 28,20).
L’Evangelo di oggi, che continua quello proclamato domenica scorsa, riporta due coppie di espressioni di Gesù “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” … “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva questi mi ama” che sono caratterizzate da una assoluta reciprocità, la prima riflette la seconda e, anche cambiandone l’ordine, il loro senso non cambia; ciascuna di queste poi introduce un’azione del Padre a favore dei discepoli: “Vi donerà un altro Paraclito“ … “sarà amato dal Padre mio”.
Questo per dirci che i due inviti ad osservare l’Alleanza e ad amare Dio, cioè aderire e fare la sua volontà d’amore per gli uomini e il creato, sono una cosa sola. Affermazione questa che ritorna costantemente nell’intera Scrittura assieme all’assicurazione che porterà alla realizzazione della sua promessa: “stabilirò la mia dimora in mezzo di voi”.
Ora Gesù ha pienamente vissuto in ogni momento della sua vita l’Alleanza, per questo può affermare “Io Sono la Verità” e far coincidere la sua parola con i Comandamenti senza alcuna intenzione di sostituirli, anzi insistendo perché, sulla sua sequela, siano da tutti pienamente vissuti.
“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io mi rivolgerò (e non “pregherò”) al Padre ed egli vi donerà (e non “darà”) un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo riconosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi”.
Giovanni utilizza un verbo greco che significa “rivolgersi” che viene usato per una richiesta tra pari (mentre si “prega” un superiore) e il Padre “vi donerà (e non “darà”) un altro Consolatore” che “rimanga (congiuntivo presente!) con voi per sempre”.
Viene spontaneo riconoscere in questo “altro” Consolatore che rimane già da ora per sempre con i discepoli Gesù ed è corretto. In fin dei conti l’etimologia latina di questo termine è composta da due lemmi: con=insieme e solari=confortare cioè colui che sostiene nel bisogno, che lenisce le ferite come fa il genitore che mette un cerotto sul ginocchio sbucciato di suo figlio facendosi vicino, riscaldando il suo cuore, accogliendo, facendo suo il momento di difficoltà, ridonando luminosità al momento buio triste.
Non è stata forse questo che ha fatto Gesù incarnandosi, facendosi carico della nostra umanità ferita dal peccato, sostenendoci nel cammino di conversione nella strada che, seguendo il suo esempio, ci porterà nuovamente nella piena comunione con il Padre?
Il profeta Aggeo (2,4-5) con questo oracolo a nome del Signore: “Coraggio popolo di tutto il paese! Io sono con voi! Il mio spirito è in mezzo a voi, non temete!”, sintetizza tutto il messaggio di queste due domeniche: dall’invito a non essere turbati, al non temere, all’assicurazione che non ci avrebbe lasciati soli e che sarebbe rimasto per sempre in mezzo a noi.
Una seconda caratteristica di questo Consolatore è il suo essere “Spirito di Verità che il mondo non può ricevere perché non lo riconosce” mentre i discepoli lo conoscono “perché egli dimora già presso di loro “e sarà in voi”. Di nuovo qui compare la coniugazione dei verbi nel modo giovanneo tra presente e futuro, ad indicare che queste realtà sono contemporanee ed sono l’invito a rimanere ben agganciati al nostro presente nel quale rintracciare i semi, i germogli del Regno che già sono tra di noi che ci è chiesto di far crescere e maturare con concretezza, chiedendoci che cosa possiamo fare per gli altri. Fare questo significa amare un Gesù che non ha mai chiesto di obbedire a lui e nemmeno a Dio. Se ha comandato qualcuno, questi sono stati gli spiriti immondi. Gli uomini non sono chiamati a obbedire a Dio, ma a somigliargli amando gli altri nelle diversissime situazioni nelle quali ci si trova ad essere il suo sguardo che sa farsi compassione, la sua mano che sa accarezzare, la sua bocca che sa sorreggere ed incoraggiare.
(BiGio)
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