Se il nostro amore si raffredda o diventa evanescente, anche lo Spirito infuso in noi, che pure è fuoco, si raffredda e diventa evanescente. Possiamo riceverlo continuamente come dono nella misura in cui lo ridoniamo agli altri, come amore e come perdono.
Non è solo uno dei racconti di apparizione, ma è forse meglio dire di esperienza del Risorto, ci viene narrata la gioia (e la fatica) che quell’esperienza comporta e la trasformazione che suscita nella vita dei discepoli. Gesù viene e sta in mezzo ai discepoli, in mezzo alla comunità dei fratelli. Dona la pace promessa, lo shalom, e dona, anzi “insuffla” (come Dio al momento della creazione di Adamo) il suo Spirito santo, che è Spirito datore di vita, che ci comunica la sua vita di Risorto.
L’esperienza pasquale è chiamata a diventare esistenza pasquale. Facile a dirsi ma assai difficile da praticare, lo sappiamo. E allora chiediamoci, come abbiamo già fatto in quaresima (in fondo quaresima e tempo pasquale sono intimamente legati nell’unico mistero): che cosa può dare una svolta decisiva alla nostra vita di uomini e di credenti? Che cosa può convertirci alla novità di vita che il Signore ci dona? Secondo l’evangelista Giovanni la risposta è innanzitutto una: contemplare la nuda verità dell’amore di Dio svelato in Gesù può convertirci. Non c’è altra possibilità di conversione se non il “volgere lo sguardo a colui che abbiamo trafitto” (Zc 12,10; Gv 19,37), come dice la Scrittura.
Nella nostra scena in fondo l’evangelista non fa che raccontarci di nuovo la scena già narrata al momento della morte di Gesù. Là, innalzato da terra sulla croce, Gesù attirava gli sguardi (cf. Gv 12,32) e dal suo fianco trafitto fluivano sangue e acqua (cf. Gv 19,34-37), simbolo della sua vita donata e dello Spirito consegnato ai credenti (cf. Gv 7,39). Qui Gesù, ormai innalzato come risorto, svela la gloria nascosta nella sua morte ignominiosa e attira ancora gli sguardi timorosi sulle sue ferite, sul suo fianco trafitto, e di nuovo (questa volta in modo verbale ed esplicito) dona lo Spirito, lo infonde nei credenti, perché vedano in quelle ferite inferte dal peccato umano il segno del suo amore e del suo perdono.
I discepoli, nel momento stesso in cui vedono i segni che ricordano il loro peccato (anche loro avevano abbandonato il Signore alla sua morte) si vedono abbracciati dall’amore di Dio. Ecco la vera conversione! In essa, proprio la coscienza di aver ferito, “trafitto” l’amore di Dio ci ferisce, ci trafigge, ma è una ferita che non uccide, anzi dona vita, apre alla gioia. È questo che la tradizione cristiana chiama “compunzione” (cioè trafittura), una delle poche vere esperienze salvifiche (pasquali) che qui sulla terra ci è dato di fare.
Gesù come sulla croce, così nella sua resurrezione, attira a sé. Ma questa attrazione non seduce, non sequestra dalla vita, ma piuttosto libera, comunica vita. Comunica la sua pace, la sua gioia, il suo Spirito, che abbatte le nostre porte chiuse e ci fa passare “dalla morte alla vita” (Gv 5,24; 1Gv 3,14) aderendo alla sua vita.
Il cammino pasquale di conversione non ci lascia in una meraviglia paralizzante e fuori del tempo: come all’Ascensione qui non si tratta di “starsene a guardare il cielo” (cf. At 1,11) dove Gesù è stato innalzato, ma di far tesoro dello sguardo trasformato da quella visione per volgerlo sui fratelli con rinnovata fiducia e misericordia.
Gesù anche qui infatti ci rimanda ai fratelli: “Come il Padre ha mandato me così io mando voi” (v. 21), versetto che nella sua stessa struttura richiama il comandamento nuovo: “Come io vi ho amati, così anche voi amatevi gli uni gli altri” (Gv 13,34). E sappiamo che in Giovanni il Figlio è stato inviato nel mondo proprio per rivelare l’amore del Padre (cf. 1Gv 1,18; 13,16). Solo l’amore e la misericordia che manifestiamo agli altri possono manifestare lo Spirito del Risorto infuso in noi.
“Ricevete lo Spirito santo: a chi perdonerete i peccati saranno perdonati e a chi non li rimetterete, non saranno perdonati” (v. 23). Lo Spirito rende praticabili l’amore e la misericordia, ma rimane in noi nella misura in cui li pratichiamo effettivamente. Se il nostro amore si raffredda o diventa evanescente, anche lo Spirito infuso in noi, che pure è fuoco, si raffredda e diventa evanescente. Possiamo riceverlo continuamente come dono nella misura in cui lo ridoniamo agli altri, come amore e come perdono.
(fr Luigi di Bose)
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