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Sanzioni: i “commerci fantasma” aiutano Mosca

L’economia russa tiene. Affronta immense difficoltà, ammesse dallo stesso governo e banca centrale russi, ma tutto considerato tiene. Le stime del Fondo Monetario Internazionale – passate per il 2022 da un tombale -8,5% a un meno catastrofico -2,1 – sono lì a dimostrarlo. Fino ad alcuni mesi fa ad aver tenuto in piedi l’economia era il flusso di idrocarburi che ha continuato a scorrere verso Occidente, in particolare in Europa, permettendo di sostenere il rublo e recuperare parte di capitali e riserve bloccati dalle sanzioni occidentali.


Per continuare a produrre la Federazione Russa ha bisogno di importare prodotti, anche quelli sanzionati dai Paesi occidentali perché dual-use, che cioè possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari. In questa lista compaiono per esempio semiconduttori, droni, macchinari utili alla produzione manifatturiera, tecnologia per l’attività estrattiva, turbine, equipaggiamento radio, e via dicendo. Se questi prodotti non possono più attraversare il confine con la Russia, e infatti le esportazioni dai Paesi europei e dal Regno Unito sono ormai crollate, possono invece farlo triangolando le rotte commerciali con gli Stati che non applicano le sanzioni, la maggior parte al di fuori del blocco occidentale. I principali indiziati sono da tempo Georgia, Turchia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan.Secondo l’elaborazione ISPI su dati Eurostat e Comtrade, dall’inizio del conflitto, le esportazioni europee verso questi Paesi sono aumentate rispettivamente del 35, 42, 221, 231 e 743%. Variazioni decisamente sospette, di gran lunga superiori al trend pre-invasione. Per di più, secondo una ricerca dell’European bank for Reconstruction and Development  (EBRD) l’export UE verso questi Paesi di prodotti sotto sanzione è cresciuto di un extra 30% rispetto al resto del mercato. ...

L'intero report dell'ISPI a questo link:

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