Conoscere e vedere, nel linguaggio della Scrittura, non sono rispettivamente un fatto intellettuale e una percezione ottica, bensì esperienziale. Non si parla di un futuro indefinito, ma di un oggi ben concreto:
il futuro di e in Dio sta già nel nostro oggi, è qui che lo si deve cercare.
La Liturgia oggi è tesa a rassicurarci che non siamo rimasti soli quando Gesù è tornato presso il Padre perché lui è la porta (delle pecore) per accedere alla casa del Padre. In precedenza in questo cammino pasquale ci aveva chiesto di prendere coscienza che la “Presenza di Dio” (“Pace a voi”) tra di noi, è l’invito a “spazzare via” il peccato dal mondo, avendo fisso lo sguardo sulle sue mani e sul suo costato trafitto (Tommaso) per poter costruire con le nostre mani il mondo nuovo. Ma non da soli, senza rimpianti, in ascolto dell’intera Scrittura che diventa pane spezzato da condividere che fa ardere il cuore (Emmaus).
Gesù ha appena annunciato che lascerà i discepoli e che loro, per ora, non possono seguirlo. Il loro turbamento non è dovuto solo alla separazione, ma anche a una delusione profonda: non si aspettavano che tutto potesse finire, al contrario, avevano creduto e si attendevano il successo della missione di Gesù condividendone l’annuncio che rispondeva alle loro attese messianiche. Gesù li invita a non temere e, facendo appello alla loro identità ebraica che non si considera mai indipendentemente dal proprio legame con Dio che gli dona la stabilità della roccia (Ps 42,10), ad appoggiarsi con forza su Dio. Allo stesso modo con il quale si appoggiano al Padre, gli chiede appoggiarsi anche a lui.
Usando una metafora che prende dal Libro dei Segreti di Enoc nel quale il Regno dei Cieli era immaginato come un insieme di dimore che un giorno sarebbero state abitate dagli uomini, Gesù attesta che queste sono “molte” (cioè capaci di accogliete tutti) e lui va avanti per prepararle. Con questo non intende alzare il velo su come sia l’al di là, ma riaffermare l’abbondanza della salvezza da parte di Dio e a rassicurare i discepoli e quanto dice immediatamente dopo ce lo conferma.
Infatti: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” in questi due versetti che reggono tutto il brano di questa domenica, bisogna notare come i verbi sono tutti al tempo futuro tranne che nell’ultimo segmento dove sono al presente indicativo. Non è un errore nella consecutio temporis, ma è l’uso tipico dell’evangelista Giovanni di quello che viene chiamato il suo “presente sovratemporale”; con questo desidera aprirci alla comprensione che qui Gesù non sta parlando tanto del futuro, ma del nostro oggi. Cerca in questo modo, come avvenuto nelle domeniche precedenti, nuovamente di schiudere lo sguardo, la percezione della comunità post-pasquale e la nostra, sulla sua presenza nel quotidiano della vita: il futuro di e in Dio sta già nel nostro oggi, è qui che lo si deve cercare.
Nei versetti seguenti il nome “Padre” ritorna per 10 volte e sempre legato al ruolo di Gesù: “Gli dice Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gesù gli dice: Ecco sono con voi da così tanto tempo e non sei ancora arrivato a conoscermi. Chi vede me vede il Padre”.
Conoscere e vedere, nel linguaggio della Scrittura, non sono rispettivamente un fatto intellettuale e una percezione ottica, bensì esperienziale; esprimono una relazione intima come quella tra due sposi o amici che vivono assieme condividendo tutto senza segreti l’uno per l’altro.
Gesù, sottolineando l’unità di azione che ha con il Padre (è “il Padre che rimanendo in me compie le sue opere”), chiede di prendere coscienza che lui e il Padre sono una cosa sola. Per questo può dire che è colui che da a “vedere” il Padre. Questo lo afferma in tre riprese: la prima e l’ultima in un appello a credere, la seconda in quella frase che sottolinea l’agire del Padre attraverso e con lui.
In Giovanni poi le opere sono sempre distinte, indipendenti dalle parole, hanno valore di “segni” che, sollevando una domanda sul loro autore, fanno germogliare nella fede una percezione che ha la forza dell’evidenza, di una esperienza che rivela una Presenza indubitabile, capace di risvegliare, dare e ridare vita.
A Filippo, che si era espresso come se Gesù e il Padre fossero “due” persone diverse e come se Gesù fosse semplicemente un intermediario e non il Mediatore in senso forte inviato per riconciliare gli uomini con Dio, l’invito che Gesù fa è quello di saper vedere, nel senso di leggere, interpretare le opere e credere per queste. Quello di Gesù non è allora in insegnamento teorico, ma l’indicazione di un cammino da compiere che impegna tutti allora come oggi, compresi noi. In fin dei conti è il percorso di formazione della Scrittura: c’è un evento storico vissuto che, dopo essere stato letto e interpretato, porta alla scoperta dell’opera di Dio e quindi al credere, alla fede. È quest’ultima che viene prima tramandata e poi scritta.
“Del luogo dove vado, voi conoscete la via. Gli dice Tommaso: Signore, noi non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via? Gli dice Gesù: Io sono la via e la verità e la vita: nessuno viene al Padre se non attraverso me”.
Questa risposta di Gesù da subito ha impegnato biblisti e teologi che si sono sbizzarriti. Può aiutare a comprenderla il già citato Salmo 42 che al versetto 3 chiede: “Manda la tua verità e la tua luce: esse mi guideranno … sino alle tue dimore”. Gesù, grazie a quel Io sono (che traduce in greco il Nome impronunciabile di Dio) afferma di essere la verità cioè la pienezza della rivelazione e, in quanto tale, fonte della vita. Per questo può dire “Io sono la via” da seguire per poter ereditare la Promessa di abitare un giorno presso il Padre, nella sua casa. Il credente ha da sempre chiesto con fiducia: “Mostrami, Signore, le tue vie, istruiscimi nei tuoi sentieri” (Ps 25,4.10) trovando queste indicazioni della Legge rivelata a Mosè e celebrata nel Salmo 119: “Seguirete tutta la strada che vi ha indicato Jhwh vostro Dio perché viviate (Dt 5,33). La Legge rimane in perpetuo; chiunque la possiede vivrà, chiunque l’abbandona perirà (Bar 4,1)”.
Gesù allora è la via e solo attraverso lui si va, si è, presso il Padre. In fin dei conti, domenica scorsa non ci aveva detto di essere “la porta” che conduce alla Vita?
(BiGio)
Nessun commento:
Posta un commento