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A chi rimetterete i peccati ...

La formulazione conservata da Giovanni rende esplicito, più di testi paralleli in Matteo Luca e Marco, il potere sui peccati trasmesso ai discepoli, senza tuttavia dire come questo debba essere esercitato. Perciò il versetto è stato origine di controversie vivaci sin dall’antichità, ma soprattutto dopo la Riforma. 



D’un tratto Gesù aggiunge: “A chi rimetterete i peccati, saranno loro rimessi; a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi.”

Di primo acchito tale parola sorprende, perché la “remissione dei peccati” non è stata ricordata in precedenza nel quarto vangelo, in cui il termine “peccato” di solito è usato al singolare, indicando il rifiuto di credere nel Figlio e non in questa o in quella trasgressione. (…).

La formulazione conservata da Giovanni rende esplicito, più di testi paralleli in Matteo Luca e Marco, il potere sui peccati trasmesso ai discepoli, senza tuttavia dire come questo debba essere esercitato. Perciò il versetto è stato origine di controversie vivaci sin dall’antichità, ma soprattutto dopo la Riforma. Riguarda i peccati commessi prima del battesimo, o anche (oppure soltanto) quelli commessi dopo? Non si tratterebbe semplicemente del dovere di predicare il Vangelo in vista della conversione? I discepoli riuniti rappresentano la comunità cristiana nel suo insieme o esclusivamente i ministri della Chiesa? Il sacramento della penitenza, la cui pratica si è venuta precisando nel corso di una lunga evoluzione, trova qui il suo fondamento scritturistico? Queste domande, anche se legittime, rischiano di oscurare l’orizzonte della Parola che, come in Matteo 26,28 è molto più vasta. Essa afferma infatti l’abolizione del peccato nel mondo, che doveva caratterizzare l’Alleanza definitiva e che è stata resa possibile dalla fedeltà di Gesù al Padre.

Come le due parole che la precedono, la dichiarazione del versetto 23 riguardo alla situazione del tutto nuova che la vittoria del Figlio sulla morte ha prodotto: la salvezza divina a prevalso sulla tenebra e raggiunge oramai ogni uomo, attraverso la mediazione dei discepoli.

Nel contesto giovanneo, è Gesù stesso che attraverso i suoi eserciti al ministero del perdono (14,12. 20). La formulazione impositivo in negativo proviene dallo stile semitico che esprime la totalità mediante una coppia di contrari come per esempio “luce/tenebre”, “felicità/infelicità” esprimono il campo illimitato dell’azione del Padre (Isaia 45,7); “uscire/entrare” significa l’intera libertà di condotta (1 Samuele 29,6; Gv 10,9), “legare/slegare” i pieni poteri (Mt 18,18).

Rimettere/trattenere” indica qui la totalità del potere misericordioso trasmesso dal risorto ai discepoli. L’espressione passiva, che dice l’effetto ottenuto, implica che Dio è l’autore del perdono; l’uso del tempo perfetto significa che il perdono è definitivo. Si potrebbe parafrasare: “nel momento in cui la comunità perdona, è Dio stesso che perdona”.

 

Xavier Léon-Dufour, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, pag. 1187 

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