Circa 184 milioni di persone, il 2,3% della popolazione mondiale, vivono al di fuori del proprio Paese d’origine. Quasi la metà di queste si trova in Paesi a basso e medio reddito. Non è ovviamente un fenomeno nuovo: la migrazione è stata parte dell’esperienza umana sin dai primi giorni della civiltà. In altre parole, da quando l’Homo sapiens lasciò l’Africa circa 130mila anni fa, gli esseri umani non hanno mai smesso di muoversi, producendo culture, lingue ed etnie differenti.
Se si osservano i trend degli ultimi decenni, la quota di migranti nella popolazione mondiale è rimasta relativamente stabile dal 1960. Tuttavia, ci avverte la Banca mondiale nel suo ultimo World development report, quest’apparente stabilità è fuorviante perché la crescita demografica è stata disomogenea in tutto il mondo: la migrazione è aumentata oltre tre volte più velocemente della crescita della popolazione verso i Paesi ad alto reddito e solo la metà della crescita della popolazione verso i Paesi a basso reddito. C’è dunque una migrazione economica guidata da prospettive di salari più alti e condizioni di vita migliori, che fa sì che circa l’84% dei migranti vada a vivere in un Paese più ricco del proprio. Un elemento da non sottovalutare è che i migranti non sono quasi mai i più poveri dei loro Paesi: lo spostamento ha dei costi che la maggior parte delle persone in condizioni di estrema povertà non può permettersi. Mediamente coloro che migrano sono meno poveri (ma anche meno ricchi) di chi rimane nel Paese d’origine.
Nel quadro delle migrazioni internazionali, quelle provocate da guerra e violenze sono purtroppo in crescita. ...
L'intero articolo di Andrea De Tommasi a questo link:
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