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Che ce ne facciamo di un Dio crocifisso?

Sullo sfondo dominano le tenebre. Avanzano, sempre più fitte, fino a riempire tutto di un’ombra angosciante e insensata. Poco importa se al centro della scena si staglia il Calvario, con tre croci conficcate nel terreno grondanti di sangue, o scorrono immagini che, come titoli di telegiornale, da ogni parte del mondo raccontano di guerre, fame, squilibri, distruzione: sul fondale e nel cuore di chi assiste incombe la stessa oscurità.

Il racconto della Passione narra la vicenda accaduta a un uomo duemila anni fa – uomo che i cristiani si ostinano a chiamare Dio – ma in quella storia possiamo ritrovare il travaglio dell’umanità di ogni tempo: discussioni infinite su chi è il più grande, l’incomprensione da parte delle persone più vicine e fidate, il tradimento di un amico, gesti d’amore svuotati e trasformati nel loro opposto, la solitudine, l’abbandono… Quanti quotidianamente vivono tutto questo?
Un arresto clandestino, non per una colpa precisa ma perché dava fastidio, mettendo in discussione l’ordine e il potere vigente; un processo farsa, con capi d’accusa inventati, volti a giustificare una condanna predeterminata; una folla chiamata ad esprimersi, condizionata con metodi subdoli affinché assecondi il volere di pochi; un magistrato che invece di fare giustizia condanna l’innocente e mette in libertà il colpevole; un potere che sceglie ciò che conviene invece di quello che è giusto, preferisce una fake news premiata dai sondaggi a una verità impopolare; persone schernite, derise, insultate, oggetto di una violenza gratuita e crudele, picchiate, violentate, uccise senza pietà, senza rimorso, senza alcuna compassione. In quante parti del mondo ogni giorno si rinnova tutto questo?
E poi c’è quella parola, Dio. Il grande assente, nel Vangelo della Passione come nel nostro mondo. Gesù prega, grida, implora, così intensamente da sudare sangue. Ma Dio non risponde. L’ingiustizia, la violenza, la morte attraversate da Gesù avvengono nel più totale silenzio di Dio. Quel Dio nel quale Gesù ha sempre confidato, come un Figlio nel Padre suo, ma che nel momento di maggiore bisogno non c’è. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” grida Gesù un istante prima di morire, nei Vangeli di Marco e Matteo. È solo Luca a provare ad alleviare lo scandalo di un Messia che muore gridando contro Dio, mettendo in bocca a Gesù le parole di un estremo affidamento: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Quanti di noi nella sofferenza abbiamo gridato a Dio e non abbiamo avuto risposta? In quanti, ogni giorno, sperimentiamo l’assenza di Dio, ci sentiamo abbandonati da lui?
Di fronte alla croce, davanti alla scena del Calvario, tutti – scribi, farisei, discepoli, apostoli – concordano su una cosa: lì non c’era nessun Dio. La stessa percezione che abbiamo noi ogni giorno sfogliando un quotidiano o guardando un telegiornale. Lo scandalo che ha vissuto chi era sotto la croce è lo stesso che proviamo osservando il male che segna la storia. Lo scandalo di un Messia e di un mondo che sembrano abbandonati da Dio.
Ci sono tanti modi attraverso i quali i cristiani hanno cercato di alleviare il peso di questo scandalo. Considerandolo parte di un progetto divino, di un meccanismo che si nutre di sofferenza, attraverso il quale Dio salverebbe l’umanità: ma che Dio è un Dio che chiede dolore e sangue innocente come prezzo per la salvezza? Oppure passando subito alla pagina successiva del Vangelo, dando poca rilevanza alla croce, mettendo subito l’accento sulla Risurrezione: visione che porta a considerare la realtà del mondo e della storia solamente come un momento di passaggio, una prova in vista della vita futura. Se la croce ci lascia interdetti, è sufficiente leggere il capitolo successivo per trovare un lieto fine; se il mondo è segnato dal male, la soluzione è uscire dal mondo, rimanere puri di fronte al marcio della storia, separando i buoni dai cattivi, gli eletti dai dannati, in attesa di essere premiati nell’aldilà. Ma non è l’esatto contrario di quanto Gesù Cristo ha fatto e insegnato?
Di fronte allo scandalo della croce e del male nella storia, i tentativi di ricollocare Dio per salvarlo da questa assurdità, si rivelano immediatamente delle forzature non credibili. Ma ciò che gli apostoli scandalosamente compresero dopo la Risurrezione è che Dio era su quella croce. Non che Dio ha usato la croce per i suoi scopi, né che Dio era in un luogo diverso, in un aldilà differente rispetto a quella croce. Dio era su quella croce, così come è presente nella storia di oggi e di ogni altra epoca. E su quella croce, come nel nostro mondo, Dio è amore che non finisce.
La croce, come ci conferma il gesto dell’Eucaristia, è scelta da Gesù come luogo dell’amore. Non come luogo del sacrificio – l’idea del sacrificio (parola che non a caso nei racconti della passione non c’è) risponde alla logica utilitaristica di chi cerca di accaparrarsi il favore di Dio: io ti offro qualcosa e tu mi dai qualcosa in cambio – ma come luogo del dono. Gesù dopo aver subito ogni sorta di tradimento e di ingiustizia, sulla croce dona sé stesso gridando a Giuda, a Pietro, a Caifa, a Pilato: io continuo ad amarti! È questa la risposta di Dio al male: di fronte a questa nostra storia, segnata dall’odio e dalla sofferenza, alla vittima più innocente come al carnefice più efferato, all’umanità intera Dio ripete: io continuo ad amarti!
Non c’è sofferenza, dolore, tradimento, abbandono da parte di Dio e degli uomini che esista al di fuori dell’abbraccio di Dio, “né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio” (Rm 8,38-39). È questa la salvezza che Gesù offre dalla croce. Parafrasando una famosa espressione di Teresa di Lisieux, Gesù ci consegna un Dio che, nel cuore del mondo e della storia, sceglie di essere l’amore.
È poco? Avremmo preferito un Dio che, pregato a dovere, interviene magicamente eliminando il dolore e la sofferenza dalla nostra vita? È deludente questo Dio che lascia tutto così com’è, senza fare distinzioni tra buoni e cattivi, tra giusti e malvagi? Che ama e basta?
Sullo sfondo dominano le tenebre. Avanzano, sempre più fitte, fino a riempire tutto di un’ombra angosciante e insensata. Ma dentro a questa oscurità il volto del crocifisso ci ricorda che tutto quello che accade a noi e nella storia è accompagnato dallo sguardo d’amore di un Dio che non abbandona. E l’amore ricevuto possiamo a nostra volta donarlo. Contribuendo così a scrivere un futuro di speranza.
(Gabriele Cossovich)


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