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Domenica di Passione - Lc 19,28-40

Se si sta attenti al testo l’Evangelo di Luca non narra l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e non c'è cenno neppure di rami di palme e ulivi agitati dalla folla ma solo lo stendere di mantelli sul puledro figlio d’asina  e sulla strada percorsa da Gesù.



Il cammino di questa Quaresima è stato segnato dall’invito a credere in Dio, alle sue promesse, alla vita che costantemente dona e rinnova, all’invito a realizzare fraternità nella condivisione e, soprattutto, ad essere certi della misericordia di un Dio che non ritrae mai la sua attenzione sovrabbondante di amore.

Domenica inizia la Settimana Santa nella quale il Triduo è una unica celebrazione alla quale, perché sia vissuto pienamente, viene chiesto di parteciparvi integralmente. Non per nulla le liturgie del Giovedì e del Venerdì Santo non si chiudono con la benedizione e l’invio nel mondo che, per l’appunto, avviene solo al termine della Grande Veglia Pasquale. Questa grande Liturgia in tre tappe si apre con la Memoria della Cena del Signore, passa attraverso la Liturgia della Croce per sfociare nella Veglia Pasquale con l’annuncio della Risurrezione. 

 

All’inizio della Settimana Santa sta il Sabato di Lazzaro nel quale la grande tradizione liturgica ricorda la risurrezione di Lazzaro per continuare nella memoria dell’ingresso a Gerusalemme di Gesù e seguire passo a passo i suoi ultimi giorni.

Alla celebrazione di Domenica fa da sfondo la profezia di Zaccaria (cap 9,9) che poi Luca sviluppa nel suo Evangelo: “Esulta grandemente figlia di Sion (= Gerusalemme), giubila figlia di Gerusalemme ( tutto il popolo). Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso”. Il profeta non si ferma qua e aggiunge: “Umile cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri (= i carri da guerra) da Efraim e i cavalli (= come cavalcature da guerra) da Gerusalemme. L’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti”. Qui c’è l’indicazione di una modalità di essere “re” completamente diversa da quella attesa e che l’accoglienza del popolo data a Gesù fa invece intendere. La seconda parte della profezia di Zaccaria era sottaciuta, quasi fosse “legato” quel tratto di mezuzah (=pergamena) sulla quale era scritta. All’epoca di Gesù erano almeno sei i tipi di Messia che venivano attesi e proposti dai diversi movimenti teologici esistenti in quel tempo storico (vedi l'apposito post: https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2025/04/messiamismi-al-tempo-di-gesu.html?m=1). La vita e il messaggio di Gesù ne presenta un settimo ma è incompreso o, come in questo Evangelo, frainteso. 

La Liturgia ci invita ad imitare la popolazione che chiaramente celebra Gesù come il liberatore di Israele dal giogo romano: questo era una delle caratteristiche del “re di Israele” che attendevano mandato da Dio, non certo il Messia che noi conosciamo e intendiamo. Non è un controsenso ma un richiamo forte a noi: quale è il Messia che celebriamo, siamo certi che è quello che Gesù ci propone o è un nostro idolo. Non si deve sottovalutare questa domanda e la risposta non si deve dare per scontata.

 

Se poi si sta attenti al testo l’Evangelo di Luca non narra l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Siamo nelle vicinanze di Betfage e Betania che sono al di qua del Monte degli Ulivi, quindi ancora lontani dalla città santa e non c'è cenno nel racconto neppure di “palme”: non vi è alcuna allusione a rami agitati dalla folla ma solo lo stendere di mantelli sul puledro figlio d’asina e sulla strada percorsa da Gesù. Il mantello, avvolgendo la persona, era ciò che proteggeva, segnava quasi la sua identità; toglierselo e metterlo sulla strada percorsa dal re perché lo calpestasse, significava la disponibilità di mettersi al suo servizio (2Re 9,13). Zacaria precisa nella profezia ripresa da Luca che il quadrupede sul quale sale Gesù è un incrocio tra un cavallo e un’asina, un ibrido che non può generare, quasi a dire che non è lui che porterà quella liberazione politica invocata e attesa. Gesù manda i discepoli a “slegarlo”, è l’invito a sciogliere dall’oblio quella seconda parte della profezia, a riportare alla luce la sua vera missione di riconciliazione. 

Eppure questa volta accoglie e non rifiuta come ha sempre fatto l’acclamazione della folla in questo senso ma la sua regalità è altra, nessuna concentrazione di autorità sulla sua persona, non ha alcuna pretesa di potere, nessun dominio da instaurare, è invece venuto per servire e non per servirsi degli altri. Quello che accade è una parodia del potere umano e viene invece presentata la missione della Chiesa: Gesù invia i discepoli e li rende capaci di rendere conto a chiunque chieda loro ragione di quello che fanno sulla base delle sue parole. Quello che noi suoi discepoli siamo chiamati a fare non è iniziativa nostra ma obbedienza alla Parola del Signore: è una sua necessità (“ne ha bisogno”) per narrare che lui viene all’uomo nella povertà e nell’umiltà e che solo in questa condivisione può avvenire l’incontro.

Luca poi avverte della possibilità che la Chiesa rimanga inerme, silente nella società e sono tanti i motivi di convenienza che posso spingere a questo. La Parola è scomoda non solo a chi l’ascolta ma anche a chi la pronuncia perché pone nella stessa situazione di debolezza che è stata del suo Signore: allora grideranno le pietre anche nella nostra società dove la realtà si sta indirizzando verso il dominio della tecnica che spersonalizza l’umano e fa emergere poteri sempre più forti di dominio e non di servizio.

(BiGio

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