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Sabato Santo – Riposa nella speranza

Nella Tradizione (con la "T" maiuscola) nel giorno del grande silenzio, il Sabato Santo, la Chiesa prega il "Cantico dei Cantici" che esprime una realtà che si estende nel tempo, con un versetto particolarmente significativo: "Il mio diletto è per me e io per lui"

 

(Icono di sr. Rafaella di Bose)

Il Sabato Santo è il giorno del grande silenzio; è come un giorno che sorge senza luce, poiché su di esso si distendono, ancora, come una fitta coltre, le tenebre del Venerdì Santo. Qualcosa di enorme e tremendo è accaduto: la morte violenta del Giusto. Sbigottita, la terra tace.

Ai concitati avvenimenti del Venerdì fa seguito una profonda quiete. Infatti, nella giornata di ieri, fino verso il tramonto, si udiva ancora la sua voce, il suo lamento, la sua preghiera. Oggi egli tace; tacciono anche le grida dei crocifissori e della folla. Con lui che giace nel sepolcro sembra che tutto sia piombato nel silenzio e nel buio. È però un silenzio di sospensione; è un’oscurità di attesa vigilante. 

Il senso di vuoto che si prova entrando il Sabato Santo nelle chiese spoglie e mute fa sperimentare l’assenza del Signore e muove alla ricerca di lui, come la sposa del Cantico dei Cantici. Scopre così che egli le è indispensabile; impara, nella privazione, ad apprezzarne e a desiderarne la presenza; sente crescere in sé l’amore per lui che – comincia ad intuirlo – l’ha amata di un amore più forte della morte.

È così che la Chiesa tutta intera si raccoglie oggi presso il sepolcro dello Sposo per ascoltarne il silenzio, come prima ne aveva accolto i gemiti e le ultime parole, e per attendere con speranza il suo risveglio, anzi, per sollecitarlo con gli insistenti richiami della preghiera meditando sul Cantico dei Cantici in questo giorno di silenzio e di attesa tra la morte e la risurrezione di Gesù, la sua lettura assume un significato speciale

È un poema d'amore che esprime un desiderio profondo e intenso tra due interpreti, tra Dio e il suo popolo, tra Cristo e la Chiesa. 

Il Cantico racconta l'attesa e la speranza di una rinascita, di un nuovo inizio. La sua poesia di amore e desiderio si collega simbolicamente alla passione di Cristo, che soffre e muore, ma con la promessa di una futura risurrezione e di una vittoria sulla morte. La lettura di questo Cantico in questa giornata aiuta a meditare sul mistero dell'amore di Dio che si manifesta nella sofferenza e sulla speranza di una vita nuova che nasce dalla morte.

Richiama la promessa di un amore che supera ogni ostacolo, che si manifesta nella passione e nel sacrificio, elementi fondanti il racconto pasquale. È un modo per prepararsi alla gioia della Risurrezione, ricordando che dalla sofferenza può nascere la vita e la speranza:

 

"Il mio amato parla e mi dice: Alzati, amica mia, bella mia, e vieni!
Poiché ecco, è passato l’inverno, sono finiti i temporali,
si sono mostrati i fiori sulla terra, il tempo di cantare è arrivato,
e la voce della tortora si ode nei nostri monti.
Il frutto sulla terra si mostra, il tempo di cantare è arrivato, e la voce della tortora si ode nei nostri monti.
Alzati, amica mia, bella mia, e vieni!
O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nel riparo delle fenditure della rupe,
mostra la tua faccia e fa’ sentire la tua voce, perché la tua voce è dolce e la tua faccia è bella
."

 

Questi versetti (2,10-18) sottolineano un momento di attesa, proprio come è il Sabato Santo, durante il quale si è chiamati a riflettere sul silenzio e sulla speranza di una futura risurrezione. La natura che si risveglia, i fiori che sbocciano e il canto degli uccelli sono simboli di rinascita e di vita nuova che arriverà.

Questo invito a "alzarsi" e "venire" rappresenta l'invito alla fede e alla speranza, che si rinnovano nel cuore durante questa giornata di attesa. È un richiamo a non perdere la fiducia, perché la primavera e la vita nuova stanno per arrivare, proprio come la Risurrezione di Gesù.

 

Nel Cantico, la simbologia "sponsale" viene assunta per esprimere in modo figurato il valore e la preziosità della "Nuova Alleanza", dove l'Amore dello Sposo (il Padre) non viene mai meno, ed è questo “Amore eterno" che caratterizza la comunione e la reciproca "appartenenza" di Dio con il Suo popolo, di Cristo con la Chiesa. 

Il Cantico esprime questa realtà che si estende nel tempo, con un versetto particolarmente significativo: "Il mio diletto è per me e io per lui" (2,16).

Una storia d 'Amore che è segno di un'altra storia analoga, ma più grande, è la chiave di lettura del Cantico dei Cantici nel quale il Padre non viene per giudicare, ma per stabilire una "unione definitiva" con l’intera umanità. Il Signore, è Colui che non si ferma a considerare il peccato come una colpa, ma piuttosto come un pungente tormento d' Amore che ha un passato, che oggi si sta compiendo e che sarà per sempre, in eterno. In questo senso è anche una "profezia". 

Il Cantico dei Cantici termina con un "silenzio" misterioso che non è però "mutismo", ma il mezzo più efficace per trasmettere ciò che umanamente non è possibile comunicare. 


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Secondo un commento ebraico, il cantico dei Cantici è l’ultimo di nove canti, il decimo verrà cantato in futuro: 

1.     Il primo canto fu quello di Adamo, che pronunciò in onore del Sabato, quando fu perdonato dalla colpa. (vedi Salmo 92 "E' bello dar lode al Signore"). 

2.     Il secondo canto lo intonarono Mosè e i figli di Israele quando il Signore dell'universo divise per loro le acque del Mar Rosso. (cf Esodo 15,1). 

3.     Il terzo canto, lo intonarono i figli d'Israele nel momento in cui fu concesso loro un pozzo d'acqua nel deserto. (cf. Numeri 21, 16,17). 

4.     Il quarto canto è quello pronunciato da Mosè, quando giunse per lui I’ ora di distaccarsi dal mondo: "Ascoltate o cieli, io voglio parlare, oda la terra le, parole della mia bocca. . ." (Deuteronomio 32,1). 

5.     Il quinto fu pronunciato da Giosuè quando combatté a Gabaon: “Giosuè disse al Signore, sotto gli occhi di Israele: Sole, fermati in Gabaon e tu luna sulla valle di Aialon" (Giosuè 10,12). 

6.     Il sesto canto fu pronunciato dai Giudici Barak e Debora; vedi il "canto di vittoria" del cap. 15 del libro dei Giudici. 

7.     Il settimo fu pronunciato da Anna, quando il Signore gli fece grazia di poter concepire un figlio, che chiamò: Samuele. Allora Anna pregò: “II mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’ innalza, grazie al mio Dio" (1 2,1). 

8.     L’ottavo canto fu pronunciato da Davide, quando ringraziò Dio per tutte le meraviglie che operò nei suoi confronti. (vedi 2 Samuele 22,1 e ss.). 

9.     II nono canto è appunto il "Cantico dei Cantici", pronunciato da Salomone, re di Israele, davanti al Signore dell’universo. È un canto che per la sua singolare dignità e soavità, viene chiamato: "Il Cantico dei Cantici". 

10.  Il decimo, sarà quello che i redenti pronunceranno quando saranno liberati dall'esilio, in attesa dei tempi della "restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio per bocca dei Suoi Santi profeti di un tempo" (Atti 3,20—21). 

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