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Così la politica dei like ha sfibrato la partecipazione

L'astensione: un dato che dovrebbe far riflettere tutti

è il commento di Walter Veltroni su Il Corriere della Sera del 5 ottobre


I protagonisti della politica italiana dovrebbero onestamente riflettere su un dato che dovrebbe creare un allarme tra tutti, nessuno escluso. Mi riferisco all’astensionismo, alla scelta consapevole compiuta da milioni di persone, specie nelle grandi città, di non partecipare alla principale forma di esercizio democratico, il voto. Guardiamo i dati, perché non di una sensazione si tratta: in nessuna città, salvo Bologna, l’afflusso ai seggi ha superato il cinquanta per cento. In soli cinque anni a Roma ha votato l’otto per cento in meno, a Milano e Napoli il sette, nel capoluogo emiliano e a Torino quasi il nove. E in Calabria solo il 43 per cento ha eletto il presidente della Regione.

Se si porta lo sguardo più lontano nel tempo, ma neanche tanto, il dato appare ancora più sconcertante: venti anni fa in tutte queste città, con l’eccezione di Napoli che si attestò quasi al settanta, la partecipazione al voto oscillava tra il settantanove per cento di Roma e l’ottantadue di Torino e Milano. Ci sono certamente elettorati di questo o di quello che, per ragioni attinenti al candidato scelto o a dissensi politici, hanno voluto marcare con l’astensione il loro atteggiamento critico. Ma cosa pesa in questa scelta, per me allarmante? Molte ragioni, come sempre in questi casi. Potrei dire, in primo luogo, la crisi della politica intesa come ancoraggio ideale e programmatico a valori forti, radicati nelle coscienze. La fanfara sul superamento di destra e sinistra, lungi dal definire le moderne e non solo novecentesche differenze tra i due schieramenti, ha finito col demotivare milioni di persone, col farle partecipare alle cose della politica con lo spirito dello spettatore e non del cittadino attivo.

La politica dei pollici su e giù, dei like, degli insulti reciproci, dell’immagine come fine Il populismo ha sfibrato, non certo rigenerato, la partecipazione. Questa fanfara ha fatto da alibi allo spettacolo imbarazzante, di cui questa legislatura è stata teatro, di alleanze tra forze che avevano giurato ai propri elettori, prima del voto, di non allearsi mai con quelli con cui poi avrebbero condiviso candidamente governo e ministeri. Sempre contro qualcuno, non per qualcosa.  Il cittadino usato, demotivato, non raggiunto da grandi progetti e da i valori che li ispirano decide di farsi da parte. Ma, senza la partecipazione dei singoli, la democrazia diventa fragile. La politica farebbe bene, con serietà, a discutere di questo, oggi.

 

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