Due approfondimenti sulla Parola di oggi



Tra autorità e autorevolezza, una comunità di relazioni gratuite, cementate dal perdono reciproco

Tra voi non è così”. Questa parola pone un criterio discriminante tra chiesa e non-chiesa. La qualità della vita di una comunità cristiana la si valuta a partire dalla qualità delle relazioni interne. Dunque, dalla qualità delle relazioni fraterne.

Ma qui si dice anche di più. La prima testimonianza politica della chiesa consiste nella sua strutturazione interna, nell’organizzazione delle sue strutture di autorità e nel modo di vivere l’autorità, che dev’essere conforme a quanto vissuto da Cristo e da lui richiesto ai discepoli. La parola di Gesù stigmatizza le logiche dei poteri mondani, ma soprattutto si rivolge alla chiesa: alla tentazione della mimesi dei meccanismi mondani, Gesù oppone la differenza cristiana fondata sul farsi servi gli uni degli altri. Se la chiesa è la testimone di Cristo Servo nella storia tra la croce e la parusia, allora la sua forma la mostra quale comunità non omologata, né asservita. Insomma, con una battuta, la chiesa non è uno Stato: “Tra voi, non è così”. Essa invece è, secondo le belle parole del card. Carlo Maria Martini, “comunità alternativa”: “La chiesa si sente spinta non solo a formare i suoi figli, ma a lasciarsi formare essa stessa vivendo al suo interno secondo modelli di relazioni fondate sul vangelo, secondo quelle modalità che sono capaci di esprimere una comunità alternativa. Cioè una comunità che, in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali e di tipo consumistico, esprima la possibilità di relazioni gratuite, forti e durature, cementate dalla mutua accettazione e dal perdono reciproco”.

(Luciano Manicardi)


 

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Il senso di una sofferenza che apre ad un futuro diverso


Gesù ha voluto essere servo, cioè colui che dona gratuitamente e totalmente la propria vita per gli altri. Mentre, all'incontrario, i suoi discepoli pensano agli onori dei primi posti e della gloria. Significa che non hanno saputo cogliere la figura umana e generosa, disponibile e provocante del loro «Maestro».
La prima Lettura esprime il senso della sofferenza del Servo: «Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità». Si tratta di un inviato di Dio che non accusa né condanna gli uomini per le loro iniquità, ma piuttosto le assume su di sé, togliendole così ad essi. Solo Dio può essere capace di tanto, cifra del suo amore: non imputa all'uomo le sue colpe, ma ne porta Lui il peso delle sofferenze che esse provocano. Così Dio si ritrova pienamente nel suo inviato: «Al Signore egli è piaciuto quando era prostrato con dolori» (traduzione letterale che mostra come non sia Dio l'autore dei dolori del servo, come dice invece la nostra traduzione), proprio perché, in questo modo, toglie il male assumendolo. Attraverso l'offerta della sua vita - rispondendo al male con la pace, alle sofferenze inflitte con la cura positiva - aprirà un futuro diverso («Vedrà una discendenza») e realizzerà il piano divino di un'umanità non più omicida, ladra e ingiusta, ma aperta al bene («Si compirà per mezzo suo la volontà del Signore»). 
Per questo, Gesù presenta a Giacomo e Giovanni - che vogliono i posti d'onore «nella sua gloria» - la prospettiva che Lui stesso sta assumendo: «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». È la prospettiva della sua passione.

(Alberto Vianello)





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