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Il mito dell’unità nel nome di Confucio (e Taiwan trema)

La tensione tra Cina e Usa lievita. E la Roma papale, insieme con Taiwan, si ritrova di nuovo tra due fuochi, per ora fortunatamente solo virtuali. Il tentativo è di resistere a pressioni che arrivano, oltre che da Pechino, dagli Stati Uniti affinché compia una scelta di campo: che per ora, però, non ci sarà.

Di seguito una nota di Maurizio Scarpari su "La Lettura" del Corriere della Sera di domenica 24 ottobre e il link di una analisi di Massimo Franco sempre sul Corriere del 24 ottobre



Maurizio Scarpari
(è tra i più importanti sinologi non solo italiani, studioso della lingua, della storia e del pensiero filosofico cinese e alla loro incidenza sul loro pensiero polito attuale. Collabora con molte testate, in particolare con Il Sole 24 Ore e con il Corriere della Sera, Inchiesta


L’idea di «una sola Cina», continentale e insulare, è da sempre uno dei capisaldi della politica estera e militare cinese. Per il presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, la riunificazione con l’«isola ribelle» Taiwan — annessione, per i taiwanesi — è inevitabile, parte di un processo storico ineludibile. A nulla potranno servire né la determinazione con cui la presidente Tsai Ing-wen intende difendere l’autonomia dell’isola né le ingerenze della comunità internazionale, interpretate come palesi violazioni della sovranità nazionale. Per Xi il momento della (ri-)unificazione è prossimo. Dopo aver decretato, nel 2012, la fine del «secolo dell’umiliazione nazionale», intende ora suturare una ferita mai rimarginata, lascito della guerra civile iniziata ai tempi di Mao Zedong. Sarebbe un successo che il «presidente di tutto» vorrebbe intestarsi e che gli conferirebbe a perpetua memoria il titolo di Grande unificatore. Per i cinesi tale figura evoca i mitici sovrani dell’antichità ma anche personaggi che hanno plasmato la storia, primo fra tutti colui che fondò l’impero, nel 221 a.C.

Interessanti le analogie con il presente. Grazie a riforme innovative in ambito economico, sociale e militare, Ying Zheng, potente e visionario re di Qin vissuto nel III secolo a.C., si trovò a capo di un’imponente macchina da guerra, in grado di realizzare l’ambizione più grande: unificare «tutto ciò che è sotto il cielo» e diventarne il monarca assoluto. Nel giro di pochi decenni di scaltre attività diplomatiche e di cruenti combattimenti raggiunse l’obiettivo e, al cospetto delle massime divinità, degli spiriti ancestrali e delle popolazioni sottomesse si autoproclamò Primo Augusto Imperatore, titolo altisonante che nessuno prima di lui aveva osato assumere. L’impero, grandioso per estensione e concezione, durò 2.132 anni, fino al 1911. Ogni divisione e frammentazione trovò sempre la sua ricomposizione grazie a un ideale che, filo sottile ma indistruttibile, ha percorso l’intera storia della Cina, e pare percorrerla ancora oggi.

Il principio che ha dominato la cultura politica cinese per oltre due millenni, in realtà di difficile attuazione, fu enunciato dai confuciani mel IV secolo a.C.: «La stabilità politica e sociale sta nell’unità». Unità, pace e stabilità: per realizzarle non bastava però l’illuminata gestione di un sovrano virtuoso, come postulavano i confuciani; serviva un controllo assoluto dell’organizzazione politica, militare, economica, amministrativa e sociale dell’impero, come sostennero, più pragmaticamente, i fautori di modelli statalista. La dottrina dello Stato unitario, autoritario e disciplinatamente confuciano quale elemento essenziale per la pace e la stabilità ha caratterizzato l’intera storia cinese e, di fatto, è tuttora lo strumento teorico più potente che sostiene e giustifica l’azione di governo nella difesa della propria sovranità territoriale e nella volontà di riannessione di Taiwan


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