Chi lo conosce da vicino, lo testimonia come un uomo colto ma semplice, con una visione internazionale legata alla sua storia nella comunità di Sant’Egidio, capace di osservazione profonda e grande trasparenza nelle decisioni.
Prete di strada - come è rimasto sempre, anche una volta diventato Cardinale - assiduo promotore della Comunità di Sant’Egidio, ha dedicato la sua intera vita ai bambini svantaggiati, ai migranti, ai senza fissa dimora, ai disabili, ai tossicodipendenti, ai carcerati, agli ultimi, agli emarginati.
È stato figura di spicco e mediatore nel processo che, nel 1992, ha portato alla pace in Mozambico, che pose fine a oltre 15 anni di guerra civile.
È stato simbolo della cooperazione in Africa.
Nel 2015, quando divenne arcivescovo di Bologna, scelse di andare a vivere in un dormitorio per preti in pensione, in una umile stanza con un letto, un comò e uno scrittoio uguale a quella di tutti gli altri.
Tre anni fa, nel pieno dell’ipnosi sovranista, se ne uscì con parole manifesto sull’immigrazione e sull’accoglienza:
“L'accoglienza non è un incubo da evitare, è il modo in cui la società cresce, ringiovanisce, matura. Siamo di fronte al rischio di non commuoversi più per la condizione di chi non ha nulla o è in pericolo".
È questa figura qui, questo prete, quest’uomo, che Bergoglio ha appena scelto per guidare i vescovi italiani. E, a prescindere dalla fede (o meno) di ognuno, è una buona notizia per il nostro Paese.
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