Con i prezzi tornati stabilmente ai livelli prebellici, e nonostante i rubli, la crisi del gas sembra attenuarsi. Ma ci sono nubi all’orizzonte: per compensare il gas russo l’Ue dovrà contendere il gnl alle economie asiatiche. La gara al rialzo impatterà le bollette e lascerà a secco i Paesi emergenti
Da inizio settimana il costo del gas sul mercato europeo si aggira attorno agli 85 euro per megawattora, nella stessa fascia di prezzo dei mesi precedenti all’invasione russa dell’Ucraina. Gli operatori sembrano aver recuperato la calma rispetto alle folli oscillazioni degli scorsi mesi (il picco, a marzo, era 227 €/MWh), e sembrano aver ignorato il blocco delle forniture di Gazprom verso la Finlandia del fine settimana.
Il motivo, secondo Sissi Bellomo del Sole 24 Ore, è duplice: da una parte la stagione mite ha permesso agli operatori di tirare il fiato, dall’altra lo spauracchio del ricatto di Putin – “pagatemi in rubli o vi chiudo i rubinetti” – sembra aver perso efficacia. In fondo è una questione cosmetica: le grandi aziende europee che importano da Gazprom hanno ricevuto un via libera di fatto, per quanto malvolentieri, dalla Commissione.
Insomma, il gas russo continuerà a fluire, anche se molto meno, e questo ha rassicurato i mercati. La Finlandia, che come la Polonia e la Bulgaria può agilmente fare a meno delle forniture russe, ha scelto di non stare al gioco dello zar e importerà quel poco che gli serve dall’Estonia. Mentre i Paesi che più dipendono dal gas russo (Germania e Italia) potranno pagare normalmente.
L’obiettivo europeo di riempire gli stoccaggi all’80% entro novembre sembra a portata: siamo già al 43%, vicini alla media storica, il prezzo di giugno dovrebbe calare ancora e gli operatori potranno pompare gas a prezzo più contenuti (relativamente, dato che sono comunque quattro volte tanto quelli dell’anno scorso). Ma la calma non è destinata a durare.
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