V Domenica di Pasqua - Gv 13,31-33.34-35

"Amatevi come io vi ho amato" non è un invito ad imitarlo è qualcosa ben di più e diverso.

E in che senso questo è un comandamento "nuovo" se era già contenuto e ben conosciuto nelle Scritture ebraiche tanto che Paolo dice contenere la Legge in tutta la sua pienezza?

 


In questo periodo pasquale, la liturgia ci sta accompagnando a scoprire l’identità di chi pone la sua fiducia in un Signore Risorto con mani, piedi e costato forati. La settimana scorsa, Gesù ha posto l’accento sulla capacità e qualità del saper “ascoltare la sua voce” che porta a conoscersi reciprocamente, cioè ad amarci vicendevolmente. Infatti, in questa V Domenica di Pasqua il Signore prosegue proponendoci di ascoltare, quindi mettere in pratica, un comandamento nuovo.

Troppo spesso però si è tradotto con “come” l’avverbio greco che lega il precetto all’amore di Gesù per i suoi. Si dovrebbe quindi imitare il comportamento-modello del Signore. Ma in questo modo si finisce per fare di Gesù un personaggio del passato, dal quale si sarebbero ereditate delle consegne da applicare poi personalmente nel “nostro” tempo. Ma Gesù non è un personaggio di un’epopea di eroi scomparsi; Gesù è risorto e vive accanto a noi, accompagnandoci in questa nostra storia.

Quell’avverbio greco non ha quindi il senso di una similitudine, non è semplicemente un invito ad amare imitando quello che Gesù ha fatto. Piuttosto desidera sottolineare l’origine di quell’amore. Più correttamente si deve tradurre: “Con l’amore con cui vi amo, amatevi gli uni gli altri”. È il suo amore con il quale lui ci avvolge, che scopriamo e viviamo in ogni istante, che scorre da noi ai nostri fratelli e viceversa, da loro a noi

Facendo del suo amore il fondamento e la fonte del nostro, Gesù certamente si riferisce al dono della propria vita, ma anche a qualcosa di ulteriore: “Dell’amore con cui il Padre mi ha amato, anch’io vi ho amati” (Gv 15,9). Per questo l’amore fraterno dei credenti, anche se può esigere un dono estremo, è prima di tutto uno stato; è il modo di essere in unione con il Signore.

 

Un comandamento nuovoMa in che senso “nuovo”? Non certo rispetto alla Legge giudaica: anch’essa conosce bene il precetto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18) che Gesù certamente ha citato e che Paolo dice che contiene la Legge in tutta la sua pienezza (Gal 5,14 e Rm 13,9). L’aggettivo “nuovo” nella Scrittura viene normalmente associato alla realtà della salvezza, sia attesa sia, secondo le Scritture Cristiane, oramai presente. Questa è solo una risposta immediata formale. Ma il testo stesso ne fornisce una più puntuale e precisa. La novità consiste nella natura dell’amore che i discepoli devono avere gli uni per gli altri: è l’amore di Gesù che, espandendosi attraverso di loro, inaugura una nuova era. È attraverso i discepoli del Figlio che il suo amore è oramai presente in modo definitivo nel mondo. “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio ma è lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio …” (1Gv 4,10). A noi sta il compito di amplificarlo nella nostra realtà facendo nostro il suo agire.

 

Spesso si sente assimilare questo comandamento al precetto per l’amore per tutti gli uomini, nemici compresi o al metro di misura del giudizio finale. Ma, questo, è l’Evangelo di Matteo, non quello di Giovanni nel quale la prospettiva è diversa: l’amore richiesto (“amatevi anche voi gli uni gli altri”), essendo reciproco, riguarda la relazione dei discepoli tra di loro, la comunità in quanto tale. Questo amore, più che un’esigenza morale, è un dono ricevuto da condividere, il segno che evidenza l’esistenza dei credenti. L’amore reciproco dei discepoli manifesterà a “tutti”, anche ai non credenti, la loro appartenenza a Cristo.


La Chiesa è la compagnia di coloro che sono stati incontrati ed amati da Cristo. Per questo diventano capaci di amare. Dall’amore dobbiamo essere riconosciuti. Non dalle devozioni, non dalle preghiere, non da segni esteriori, non dalle organizzazioni caritative, ma dall’amore concreto e fattivo, tollerante e paziente, autentico e accessibile, che si sa manifestare anche nel momento della prova e del tradimento.


(BiGio)

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