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Amare è rinuncia alla volontà di potenza, al voler fare da soli, ma apertura agli altri

Per amare occorre aprirsi agli altri e accettarli, senza ritrarsene, senza giudicarli, ma anzi accettando di costruire insieme. Amare è sempre volontà di creare insieme, è chiamata alla sinodalità del decidere e del deliberare. L'amore implica pertanto la rinuncia alla volontà di potenza, che ha un carattere sempre marcatamente individuale perché è volontà di creazione solitaria

Il vangelo pone in stretta relazione l'uscita di Giuda dallo spazio comunitario con la glorificazione di Gesù (cf. v. 31). Il gesto di tradimento, che poteva semplicemente essere esecrato e biasimato, giudicato e condannato, divenire motivo di scomunica, di espulsione di Giuda dal gruppo comunitario, viene visto da Gesù all'interno della sua storia con il Padre e dunque come segno della sua glorificazione. La domanda che emerge e che pone in crisi le nostre reazioni, i nostri modi di ragionare e di comportarci anche nella vita ecclesiale, anche in una vita comunitaria, è: che uso facciamo delle situazioni di conflitto o di ingiustizia nella comunità? Come ci relazioniamo alle difficoltà che una persona ci pone con un comportamento senza alcun dubbio ingiusto e offensivo? Dobbiamo riconoscere che la nostra prima reazione è l'autodifesa, l'autogiustificazione, ed è più che legittima e probabilmente anche doverosa in molte occasioni se non sempre. Tuttavia, qui Gesù mostra un comportamento umano altro, diverso. Per comprenderlo dobbiamo cambiare il punto di vista a partire dal quale consideriamo la realtà e gli altri. Il gesto di Giuda è occasione per Gesù di domandarsi come continuare ad amare Giuda anche in quella situazione. Gesù si trova glorificato dal modo con cui decide (di decisione si tratta) di amare Giuda fino alla fine. Sì, il capitolo 13 di Gv inizia dicendo che Gesù amò i suoi fino alla fine. Qui ama Giuda fino alla fine. E se l'elevazione sulla croce sarà per Gv il segno dell'avvenuta glorificazione, la croce sarà il luogo in cui Gesù narra Dio pienamente, in verità questa glorificazione avviene ora, nella decisione con cui Gesù decide di non opporsi al malvagio, di non fermare Giuda. Gesù sta mostrando ai suoi che tutto, tutto, può essere vissuto in modo evangelico, ovvero sotto il segno dell'amore. Anche il male che l'altro compie. È chiaro pertanto che l’ora della sua glorificazione non è suscitata da Giuda con il suo gesto, ma dall'amore di Gesù stesso che ha amato i suoi "fino alla fine" (Gv 13,1). Gesù perdona, ovvero, continua ad amare con fedeltà chi smette di amarlo, chi lo tradisce, chi gli mente. E così narra esistenzialmente che l'amore è più forte della morte, che amare è prassi di resurrezione, e questo paradossalmente proprio nel momento in cui quello stesso amare lo condurrà alla morte. Le parole di Gesù: "Ora, il Figlio dell'uomo è stato glorificato" suonano come un grido di vittoria: vittoria perché il male non ha soffocato l'amore, perché la delusione e l'amarezza per il tradimento dell'amico non hanno impedito a Gesù di perseverare unilateralmente nell'amare. Questa vittoria di Gesù sul male altrui senza che questo male renda cattivo o attiri nelle sue spire di malvagità anche lui, è resurrezione. Ecco dunque che Gesù, che sta per lasciare i suoi, che ha lucida coscienza del futuro immediato che gli sta di fronte, per non lasciare soli i suoi lascia loro un'eredità, l'indicazione dell'amore come via per praticare la resurrezione.

Per amare occorre però aprirsi agli altri e accettarli, senza ritrarsene, senza giudicarli, ma anzi accettando di costruire insieme. Amare è sempre volontà di creare insieme, è chiamata alla sinodalità del decidere e del deliberare. L'amore implica pertanto la rinuncia alla volontà di potenza, che ha un carattere sempre marcatamente individuale perché è volontà di creazione solitaria. Si tratti di creazione spirituale, o di creazione lavorativa, o altro, sempre essa è individualistica e fa a meno degli altri. Questo carattere comune, comunitario e comunionale dell'amore è segno del suo essere abitato dalla potenza della resurrezione. Esso ci salva facendoci passare da noi stesso, dal nostro io al noi, al con gli altri. Certo amare, come ci mostra Gesù in questo capitolo tredicesimo di Giovanni, è spogliarsi fino a non trattenere nulla per sé. Gesù si spoglia delle sue vesti, le depone e si mette ai piedi dei suoi fratelli per servirli. Amare è darsi fino a non tenere nulla per sé: Avendo amato i suoi li amò fino alla fine, fino all'estremo. Amando ci si spoglia di tutto, come Cristo che "spogliò sé stesso" (Fil 2,7), fino a spogliarsi della vita con la morte. La morte ci priva di tutto, amando noi stessi ci priviamo di tutto. Lì, la vittoria dell'amore sulla morte, lì l'amore come prassi di resurrezione. Lì, l'umanissima e spiritualissima arte che siamo chiamati ad apprendere nel nostro vivere umano, cristiano, sociale.

(Luciano Manicardi)

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